DOMENICA 14 SETTEMBRE 2025

Lavoce.info

Il Punto

Nei programmi elettorali i partiti appaiono reticenti sui nodi centrali e irrisolti del nostro sistema scolastico, probabilmente per paura di perdere consensi. Ma gli elettori avrebbero diritto di conoscere la loro visione di scuola. Sulla durata dell’obbligo scolastico l’Italia è in linea con gli altri paesi europei. Di gran lunga sotto gli obiettivi europei è invece la disponibilità di asili nido, penalizzando così lo sviluppo cognitivo dei bambini e l’accesso al mercato del lavoro delle mamme. Abbiamo veramente bisogno della flat tax? Al di là delle specifiche proposte elettorali, tutti i suoi ipotetici benefici si possono raggiungere con altri metodi, senza aumentare la disuguaglianza. L’esame dei flussi del mercato del lavoro, contenuto in uno studio, aiuta a comprendere gli effetti della pandemia sul nostro sistema produttivo e la riallocazione dei posti di lavoro tra imprese e settori. Un’analisi su dati VisitInps mostra che in Italia circa un terzo dei differenziali salariali è dovuto a caratteristiche delle imprese. La percentuale è però più alta al Sud, dove è più diffuso il fenomeno della “segregazione salariale”. Il nostro paese ha rilasciato ben poche Blue Card, ovvero permessi di lavoro per lavoratori stranieri altamente qualificati. Eppure, l’arrivo di personale qualificato servirebbe alle nostre imprese. Potrebbe anche migliorare la percezione degli immigrati nell’opinione pubblica in un momento in cui la propaganda genera un “effetto inospitalità”, che incide sulle scelte dei cittadini stranieri. Prorogare il taglio alle accise sui carburanti, come chiedono i partiti in campagna elettorale, non è una buona idea. Va invece accelerata la transizione ecologica, allo stesso tempo proteggendo le fasce più deboli della società dall’inflazione. Questa volta il fact-checking de staging.lavoce.info si occupa di Giorgia Meloni e delle sue affermazioni sull’assenza di condoni nel programma del Centrodestra e del suo partito. Controlliamo anche l’accuratezza dei dati che Enrico Letta ha citato nel dibattito televisivo con la segretaria di Fratelli d’Italia.

La redazione de lavoce si allarga: entrano a farne parte Andrea Garnero, Mariapia Mendola e Simone Pellegrino, che ci aiuteranno a coprire con grande competenza i temi del lavoro, della migrazione e del fisco. Avvicendamenti anche nel comitato di redazione, con l’ingresso di Alessia Amighini e Giuseppe Pisauro. Un caldo benvenuto e un grazie a tutti.

Spesso un grafico vale più di tante parole: seguite la nostra rubrica “La parola ai grafici”.

In questa campagna elettorale lavoce è impegnata in un lavoro straordinario di analisi e fact-checking delle proposte elettorali. Lavoce non ospita pubblicità e i nostri contenuti aperti a tutti. Per svolgere il nostro lavoro nel modo migliore possibile, abbiamo quindi bisogno del supporto dei lettori: sostienici con una donazione, anche piccola!

Obbligo scolastico: come funziona nei paesi dell’Ue

Alcuni partiti propongono di alzare l’obbligo scolastico. Ma per durata e inizio non si discosta molto dagli altri paesi europei. È sulla disponibilità di asili nido che il nostro paese resta indietro rispetto agli obiettivi europei, specie in alcune zone.

Come funziona l’obbligo scolastico in Italia e in Europa

Nella campagna elettorale, si è parlato anche di obbligo scolastico. In particolare, Terzo Polo e Partito democratico hanno avanzato proposte di riforma che mirano ad alzarne la soglia.

In Italia l’obbligo scolastico comincia a partire dai 6 anni (cioè, dal primo anno della scuola primaria) e si conclude a 16 anni (ossia, generalmente, al secondo anno della scuola secondaria di secondo grado). Successivamente, e fino al compimento dei 18 anni, sugli studenti grava un obbligo formativo, che consiste nel diritto/dovere di frequentare attività che garantiscano forme di didattica, anche se alternativa. È il caso, per esempio, dei contratti di apprendistato.

Una prima proposta avanzata sia dal Partito democratico sia dal Terzo Polo nei loro programmi elettorali mira a estendere l’obbligo scolastico da 16 fino a 18 anni, ossia fino al raggiungimento della maggiore età. Attualmente, come si evince dalla figura 1, l’Italia si colloca quasi perfettamente in linea con la media europea, che è di poco superiore ai 16 anni (16,2 per l’esattezza). Infatti, Spagna e Francia presentano la stessa “età limite” dell’Italia, mentre per la Germania è ancora più bassa. Meritano una menzione speciale Belgio, Austria e Polonia, che offrono la possibilità ai propri studenti di frequentare gli ultimi tre anni di istruzione (dai 15 ai 18 anni) con una soluzione a tempo parziale. Dunque, se la proposta di Pd e Terzo Polo fosse approvata, l’Italia si collocherebbe fra i paesi con un’età dell’obbligo più elevata.

Una seconda proposta avanzata dal Partito democratico, peraltro fortemente contestata al recente meeting di Rimini, vuole estendere l’obbligo scolastico a partire dai tre anni, in modo da rendere obbligatoria la frequentazione della scuola dell’infanzia (ex scuola materna).

Attualmente, come si vede dalla figura 2, l’Italia si attesta al di sopra della media europea, che è pari a poco più di 5 anni (5,48 per l’esattezza). In effetti, diversi paesi europei (come Polonia, Grecia e Svezia hanno reso parzialmente obbligatorio frequentare la cosiddetta pre-primary school, soprattutto per l’ultimo anno prima dell’inizio dell’istruzione primaria. Tuttavia, pur non essendo obbligatorio frequentare la scuola dell’infanzia, secondo alcuni dati della Banca Mondiale, in Italia il tasso di iscrizione nel 2020 è stato molto alto (94,6 per cento) e superiore alla media europea, che si assesta all’89,6 per cento.

Nidi in ritardo sugli obiettivi europei

L’Italia sembra dunque allineata alla media europea sia per quanto riguarda l’estremo inferiore sia l’estremo superiore del periodo dell’obbligo scolastico. Al contrario, un’area di criticità ben più urgente è quella degli asili nido, la cui capienza e distribuzione sul territorio italiano rappresentano un problema serio.

Nel 2002, il Consiglio europeo di Barcellona aveva fissato come obiettivo minimo per il 2010 che almeno il 33 per cento dei bambini compresi fra 0 e 2 anni avesse garantito un posto in un asilo nido in tutti i paesi europei. A distanza di vent’anni, l’Italia non ha ancora raggiunto l’obiettivo: infatti, il numero di posti nei servizi educativi per la prima infanzia è di 26,9 su 100 bambini e la distribuzione è estremamente variegata sul territorio nazionale: se le regioni del Centro-Nord raggiungono appena il target minimo, quelle del Sud ne sono molto distanti, con tassi compresi fra il 14,5 e il 15,7 per cento (per le Isole).

La scarsità di asili nido sul territorio implica non solo una carenza di capitale cognitivo dei bambini (con effetti sui risultati scolastici di lungo periodo), ma anche un’accresciuta disuguaglianza di genere. Infatti, come analizzato da Daniela Del Boca nel suo articolo “Pnrr, ultima chiamata per la parità di genere”, l’aumento degli investimenti complessivi negli asili nido avrebbe come effetto un aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, soprattutto negli anni della maternità, e un aumento del tasso di natalità.

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