“Un’Europa più vicina ai cittadini”: facile a dirsi, difficile a farsi. Un modo concreto potrebbe essere quello concentrare ed etichettare i fondi Ue che finanziano programmi sociali anziché disperderli. Costruendo un’Unione sociale che armonizzi i welfare nazionali per dare protezione a tutti gli europei. Concludiamo così il confronto – raccolto in un comodo Dossier – su cosa fa e cosa potrebbe fare la Ue in vista del voto di domenica per il Parlamento di Strasburgo. Anche di questi temi si parlerà al Festival dell’Economia di Trento tra giovedì 30 maggio e domenica 2 giugno. Nei quattro giorni tutti a discutere anche con molti autori de staging.lavoce.info.
Assenti ingiustificati alle riunioni internazionali o messi a margine, i tre leader e il ministro degli Esteri del governo “del cambiamento”, dopo un anno non hanno messo a segno un solo obiettivo di politica estera. Meglio è andato tra mille difficoltà e insuccessi l’outsider Giovanni Tria. Proprio il governo che ha il capo della Lega come azionista che fa la voce grossa non ha portato a casa neanche il federalismo differenziato per Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Dopo tanti rinvii è tornato fuori. Ma non si capisce come sarà finanziato e che ruolo avrà il Parlamento nel trasferimento delle competenze.
Sarà lo spirito dei tempi, ma c’è aria di fronda nella magistratura verso il Jobs act. La Cassazione interpreta le norme sul licenziamento come se ci fosse ancora il lavoratore inamovibile dal suo “posto fisso”, anche nel caso di illeciti. Legittimo dubitare che questa fosse la volontà del legislatore.
Le domande per il reddito di cittadinanza sono molto meno di quanto atteso. Soprattutto perché i requisiti richiesti agli stranieri li tengono lontani da questo sussidio. Alla faccia di quanto scrive la Costituzione che vieterebbe le discriminazioni.
La banda larga favorisce sensibilmente la crescita di fatturato e produttività (non dell’occupazione) delle imprese. Lo dice uno studio pilota sull’installazione di internet veloce nelle zone rurali del Trentino.
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Perché non basta dire “e allora il Qe?”
Di Salvatore Nisticò
il 10/05/2019
in Commenti e repliche
L’importanza di capire cosa è moneta e cosa non lo è
Desidero ringraziare i lettori dell’articolo “Perché il QE non ha prodotto inflazione” per i commenti e le domande, molte delle quali sembrano attribuire al pezzo uno scopo più ambizioso di quello che in realtà non abbia.
L’articolo non intende, infatti, analizzare gli effetti che le misure di politica monetaria non convenzionale (di cui il Quantitative easing è l’esempio più noto) possono avere sull’economia reale, né valutarne l’efficacia nei sistemi che le hanno messe in campo (come l’Eurozona o gli Stati Uniti), né tantomeno analizzare le determinanti dell’inflazione. Sono interrogativi non solo legittimi, ma di primaria importanza, e l’analisi teorica ed empirica dei molteplici canali attraverso i quali la politica monetaria non convenzionale si trasmette all’economia reale è florida, nella letteratura economica, e ha già offerto diversi risultati (alcuni riferimenti, per l’Eurozona, sono qui e qui; per gli Stati Uniti qui e qui).
Ritengo quindi che sia improprio e impreciso trarre dalla lettura dell’articolo la conclusione che queste misure sono state inefficaci. Lo scopo, molto più modesto, dell’articolo è provare a chiarire che: i) la narrazione della banca centrale che “stampa moneta” è una sintesi tanto suadente quanto inaccurata; ii) la differenza logica tra base monetaria e moneta diventa plastica ed evidente in tempi di turbolenza finanziaria e interventi non convenzionali, ma esiste ed è importante in ogni condizione; iii) per sottoporre (legittimamente) a ulteriore scrutinio il legame di medio-lungo termine tra moneta e prezzi è necessario comprendere cosa sia esattamente “moneta” e cosa no (e quindi cosa guardare nei dati), e non è sufficiente un generico “e allora il Qe?”.