Non è lintroduzione di elementi di precarietà nella carriera dei docenti il punto critico del progetto di riforma dello stato giuridico. Piuttosto, la proposta non incide sul vero problema: come dare spazio ai ricercatori e ai professori più bravi. Non indica infatti regole o incentivi per indurre i dipartimenti e le facoltà a produrre buona ricerca e buona didattica. Così si rischia di perpetuare lattuale situazione di mediocrità. Con i fondi forse scarsi, ma sicuramente mal spesi.
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Università e studi post laurea possono essere visti come beni internazionalmente commerciabili. LItalia non ha in questo momento alcun vantaggio comparato nella produzione di formazione avanzata. Che perciò dovrebbe essere importata dallestero, per esempio utilizzando i consorzi internazionali cui partecipano facoltà italiane. Più opportunità nella ricerca di punta, da rilanciare anche con la creazione di centri deccellenza. Potrebbero poi derivarne benefici anche per i programmi di dottorato italiani.
Limpegno preso a Lisbona di fare dellEuropa la più competitiva economia del mondo basata sulla conoscenza richiede un profondo ripensamento del sistema universitario. Da fondare su tre punti chiave. Una maggiore competitività tra università basata sulla reputazione, un autogoverno degli atenei in linea con gli obiettivi della società e una struttura di incentivi che sappia premiare limpegno dei docenti. In tutto ciò resta decisivo il ruolo del settore pubblico
Un sistema di incentivi finanziari è senzaltro necessario, ma non può essere sufficiente per contrastare le logiche autoreferenziali del sistema universitario italiano. La catena del potere e della responsabilità non può più far capo solo ai docenti, ma deve rappresentare lintera società che intorno allateneo si muove. In Italia molti temono una nomina puramente politica dei vertici universitari, ma dalle esperienze straniere si possono ricavare esempi molto interessanti ed efficaci, che potrebbero servirci di ispirazione.
Diventa sempre più ampio il divario tra dottorato italiano e estero. Troppi gli anni necessari nel nostro paese per conseguirlo e insufficiente il bagaglio di strumenti offerto agli studenti per svolgere ricerca avanzata. Per competere a livello internazionale, una soluzione possibile è proporre programmi modellati sugli standard stranieri, rinunciando ai finanziamenti ministeriali per cercarli nel settore privato. Ma serve coraggio, da parte delle università, dei dottorandi e delle imprese.
Alla maggiore autonomia concessa agli atenei non è corrisposto un adeguato rafforzamento delle competenze e delle capacità di indirizzo del centro del sistema. Se rimane immutato lattuale meccanismo di autogoverno delle università, basato sulla rappresentanza democratico-corporativa, intervenire su vincoli e incentivi non è sufficiente per ottenere una vera riforma. È necessario invece mettere in discussione gli assetti istituzionali, come dimostra anche lesperienza di altri paesi europei.
In Italia il ruolo della sola ricerca e sviluppo nellaccelerazione del processo di sostituzione di lavoro poco qualificato con quello qualificato è marginale. Più impatto ha invece linnovazione organizzativa, ovvero lintroduzione di significativi cambiamenti nelle funzioni interne allimpresa. Servono perciò maggiori investimenti in tecnologie digitali, che consentono innovazioni di prodotto e di processo, ma anche organizzative. E va promosso il riorientamento del sistema scolastico verso competenze generaliste e capacità logiche e relazionali.
Continua sul nostro sito il dibattito sull’ Iit. Riproponiamo per i nostri lettori i contributi di Aberto Alesina e Francesco Giavazzi, Luigi Spaventa, Giovanni Peri, Massimiliano Tani,Tullio Jappelli e Marco Pagano, Renato Bozio e Guglielmo Weber e Daniele Checchi assieme ai numerosi commenti pervenuti.
Levidenza empirica dimostra un grave ritardo dellItalia nella ricerca scientifico-tecnologica. Perché il sistema non riesce a generare i giusti incentivi e investimenti. La nascita dellIstituto di tecnologia potrebbe perciò avviare un benefico processo di competizione con i centri di eccellenza già presenti nel nostro Paese. A patto che, sullesempio di altri Institutes of Technology di successo, sappia attrarre finanziamenti dai privati e sia gestito in modo autonomo da scienziati.
Una riforma radicale è certo necessaria, ma sostenere che il sistema universitario deve essere abbandonato al suo destino di mediocrità serve solo a scoraggiare lopera dei tanti che continuano a dedicarsi alla formazione degli studenti con passione e dedizione, come testimoniano le brillanti carriere estere di molti laureati italiani. Mentre nutrire qualche dubbio sullIstituto italiano di tecnologia è legittimo, se non altro per la vaghezza della legge che lo istituisce.