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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 67 di 71

Università, mancano ancora incentivi e concorrenza

L’università italiana sta fallendo non perché manchino i fondi, ma perché chi vi opera non ha la responsabilità delle proprie azioni: non vi sono disincentivi per chi la usa per scopi clientelari, né incentivi per chi tenta di far ricerca ad alto livello. Nonostante alcune buone idee, la riforma proposta dal ministro Moratti non apporta su questo punto innovazioni di rilievo, come si vede dall’analisi delle principali novità. Fallirà, dunque. Ma non perché avrà cambiato troppo, come sostengono i suoi critici. Bensì per non aver osato abbastanza.

Foto di scuola con studenti

Tra breve saranno pubblicati i risultati di Pisa 2003, lo studio comparativo internazionale sul rendimento scolastico dei quindicenni. Probabile che si riproponga uno scenario già visto: mentre nel mondo accenderà discussioni, analisi e interventi per migliorare i sistemi scolastici, in Italia l’indagine sarà accolta con fastidio e scarsamente pubblicizzata. Per una antica e generale sottovalutazione della ricerca educativa, ma anche perché evidenzia che la scuola italiana post-riforma va controcorrente rispetto a quanto avviene negli altri paesi economicamente avanzati.

La laurea inutile

Oltre un terzo dei laureati italiani dichiara di essere occupato in un lavoro per il quale la laurea non è necessaria. I dati su iscritti alle università e piani di assunzione delle imprese mettono in luce uno squilibrio complessivo tra domanda e offerta e una differenza nella distribuzione delle competenze. Perché allora i giovani continuano a fare scelte sbagliate? E perché il sistema scolastico non cerca di contrastare gli squilibri? In realtà, proprio l’organizzazione della scuola e dell’università sono parte del problema.

La mala informazione

Gli studenti che, in mancanza di altri mezzi, si affidano ai contatti personali o alle agenzie rischiano di trovare un lavoro al di sotto delle loro competenze. Mentre quelli che accedono a un’occupazione tramite un tirocinio o grazie a una segnalazione da parte dell’università hanno una migliore probabilità di essere inseriti a un livello professionale adeguato. E’ quindi necessario rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro, affinché la carenza di informazione non vada a colpire i soggetti più deboli.

Il lavoro dei giovani

In Italia difficile da sempre, la transizione scuola–lavoro ha oggi aspetti nuovi. Con i cambiamenti demografici e della struttura produttiva, più che l’ingresso nel mondo del lavoro, sono problematici i percorsi di valorizzazione e stabilizzazione. Anche perché mancano gli incentivi ad hoc. Gli effetti della nuova regolazione del mercato del lavoro sono per il momento marginali. E la difficoltà di adattamento dell’offerta alla domanda sembra quasi “scontata” in anticipo, al momento della scelta del percorso di studio.

Qualcosa è cambiato

La transizione dalla scuola al lavoro è certamente uno dei problemi più gravi dell’Italia. Ma oggi ci sono nuovi strumenti per affrontarla. Capisaldi sono l’istituzione del diritto-dovere a istruzione e formazione fino alla maggiore età e la diversificazione e razionalizzazione dell’offerta di istruzione secondaria. Affiancano quanto previsto dalla legge Biagi sulla disciplina del nuovo apprendistato e sul ruolo assegnato a istituti scolastici e università per garantire il collocamento nel mercato del lavoro.

Apprendisti nel tempo

Il crescente utilizzo dei contratti di apprendistato è da attribuire principalmente alla possibilità per le imprese di assumere personale a costo ridotto, godendo di forti sgravi contributivi, e non alla volontà di investire in formazione. Mancano infatti gli incentivi adeguati per realizzare una attività formativa non cosmetica. Una situazione che non muta neanche con le nuove norme, che mantengono le ambiguità sulla durata del rapporto tra azienda e lavoratore coinvolto nel processo di formazione e sulla certificazione delle competenze acquisite.

Give pc a chance

Prima di rifinanziare i progetti di incentivazione alla diffusione della cultura informatica tra i giovani italiani, andrebbero valutati i risultati ottenuti con le iniziative già attuate. L’effetto di alfabetizzazione addizionale sembra infatti aver riguardato solo il 3 per cento dei sedicenni. Se invece gli incentivi fossero assegnati casualmente a persone “simili”, non solo per età, ma anche per background familiare e livello di istruzione, l’eventuale variazione delle abilità informatiche potrebbe essere ascritta più rigorosamente alla partecipazione al programma.

La difficile transizione dalla scuola al lavoro

In Italia la transizione dalla fine della formazione al primo impiego è tra le più lunghe fra i paesi Ocse. Né risultati migliori si hanno nell’educazione permanente. Così come sono pochi gli studenti che lavorano. Perché manca nel nostro paese una cultura che leghi formazione e attività lavorativa. Occorre perciò ripensare l’impostazione dell’insegnamento secondario superiore, per valorizzare l’istruzione tecnica e professionale. E le modalità di alternanza tra scuola e lavoro vanno concepite e gestite con le aziende.

Il dilemma delle tasse

In Gran Bretagna si rafforzano i meccanismi competitivi che negli ultimi quindici-venti anni hanno portato grandi benefici al sistema universitario, permettendo alle risorse di essere allocate laddove sono più produttive. Anche in Italia, alle università dovrebbe essere concessa piena libertà sulle rette e sul modo di utilizzarle, con l’unico obbligo di pubblicizzare la destinazione dei fondi aggiuntivi. Si creerebbe così una benefica competizione non solo fra atenei, ma anche fra dipartimenti di una stessa sede.

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