Le tasse universitarie sono aumentate considerevolmente negli ultimi anni. Ma laurearsi rimane un ottimo investimento. Le tasse e i contributi universitari incidono in misura minima sui costi di frequenza. Per chi paga la cifra massima, il rendimento dell’investimento è di circa il 9,5 per cento annuo. E resterebbe alto anche se il contributo medio per studente fosse portato a 5mila euro annui. Sussidiare così l’istruzione superiore beneficia soprattutto le famiglie più ricche.
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La crisi dell’università italiana dipende dalla mancanza di incentivi e da una mentalità assistenziale. Alimentata, quest’ultima, dal valore legale della laurea, dalla dipendenza finanziaria degli atenei e dai troppi vincoli legislativi. Ma gli obiettivi fondamentali da perseguire per migliorare la qualità della ricerca e della didattica non compaiono nella legge approvata al Senato. Soprattutto, non si affronta il nodo di una gestione autonoma delle risorse guidata principalmente da interessi corporativi. E la Crui si oppone alla riforma per i motivi sbagliati.
Nell’indagine Pisa 2003 dedicata alla matematica, i quindicenni italiani si piazzano al venticinquesimo posto tra i paesi Ocse. Le differenze territoriali e fra i vari tipi di scuola sono però molto rilevanti. Al Sud si registrano risultati preoccupanti ed è forte la discrepanza tra la percezione delle proprie competenze e i risultati effettivamente ottenuti dagli studenti. Per migliorare la qualità dell’apprendimento si deve intervenire anche sul contesto economico, sociale e culturale. Ed è necessario intensificare l’integrazione tra scuole e territorio.
I risultati di una ricerca sulle carriere accademiche degli economisti italiani rivelano l’assoluta irrilevanza della qualità o quantità di pubblicazioni e quindi della produttività scientifica in qualsiasi modo essa venga misurata. Un esito inaspettato per un settore a forte internazionalizzazione. Occorre garantire maggiore trasparenza ai processi di selezione degli accademici definendo alcuni requisiti scientifici minimi, misurabili oggettivamente con tabelle non modificabili e predisposte in autonomia dai settori scientifici disciplinari.
Forse la scelta migliore per combattere il malcostume dei concorsi universitari fasulli è il ritorno alle regole precedenti alla riforma del 1998, con un correttivo decisivo. I professori di ciascuna materia votano una sola volta all’anno per una commissione non rieleggibile nella tornata successiva. La commissione designa un piccolo numero di idonei. entro tre mesi dall’insediamento. Libero poi ciascun ateneo di chiamare uno degli idonei, se concorda nel ritenerlo tale anche rispetto ai propri standard, esigenze didattiche e programmi di ricerca.
Una proposta per facilitare l’inserimento dei giovani e favorire la ricerca nell’università italiana. E’ basata sul merito scientifico perché condiziona la concessione dei fondi ai risultati della ricerca e dunque incentiva comportamenti virtuosi nella selezione dei ricercatori. Interviene all’inizio del progetto, garantendo un punto di partenza paritetico a tutti i dipartimenti in competizione. Inoltre, concede premi o penalità ai singoli dipartimenti, evitando che “le politiche di ateneo” possano contrastare l’efficacia degli incentivi ministeriali.
Quest’anno per la prima volta si è registrata nelle scuole una notevole opposizione alle rilevazioni del Servizio nazionale di valutazione degli apprendimenti, a diversi livelli e con diverse motivazioni. Alcune critiche sembrano francamente poco condivisibili, altre sono decisamente più fondate. Come l’obbligatorietà, l’oggetto e il campo delle rilevazioni e il periodo in cui vengono effettuate. Ma soprattutto la scarsa qualità delle prove. Si rischia così di bloccare la diffusione della cultura della valutazione nella scuola.
Con le tecniche econometriche attuali si riesce a misurare quanto sistematicamente migliora l’apprendimento di uno studente esposto all’attività didattica di un insegnante, indipendentemente dalle caratteristiche ricorrenti nella famiglia e nella scuola frequentata. Un incremento del dieci per cento nella qualità del docente equivarrebbe all’effetto di un dimezzamento del numero di alunni per classe. Come migliorare allora la qualità degli insegnanti? Pensando a un più stretto legame fra rendimenti e premi. Ma anche attraverso una formazione dentro la classe.
E’ tempo di rientro. Milioni di bambini e adolescenti tornano a scuola. Ma qual è la situazione dell’istruzione in Italia? Le statistiche internazionali dipingono un quadro deprimente: i risultati dei nostri studenti sono tra i peggiori in Europa. Eppure in teoria non mancano le risorse perche’ la spesa per studente e’ ai massimi mondiali. Forse il problema di fondo e’ che abbiamo un numero enorme di insegnanti ma non facciamo praticamente nulla per valutarli.
Contrariamente ad una interpretazione diffusa, un analisi corretta dei dati bibliometrici rivela che la qualità della produzione scientifica Italiana e modesta. Ma la leggenda secondo cui in media i docenti italiani siano poco produttivi perché poco pagati in media non ha fondamento. E vero però che il sistema italiano premia generosamente l anzianità, indipendentemente dalla produttività, generando incentivi perversi, allontanando i talenti, e lasciando poche risorse per i ricercatori giovani e più produttivi. Il contributo termina con una proposta di riforma a costo zero che modifichi profondamente il sistema di incentivi attuali.