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Costa caro il cibo spazzatura

Anche in Italia si è cominciato a discutere di misure contro la cattiva alimentazione. Perché l’obesità è ormai considerata la vera epidemia del ventunesimo secolo, con forti ricadute sanitarie e sociali, che riguardano in particolare le fasce più povere delle società occidentali. In Europa sembra essersi verificato un rovesciamento degli stili alimentari tra paesi del Nord e del Sud. E anche nel nostro paese è in calo il consumo di frutta e verdura. La crisi economica può portare a un acutizzarsi del fenomeno.

Chi s’ingrassa paga

È abortita la proposta del ministro Balduzzi di tassare le bevande zuccherate. È un peccato. Sollevava problemi tecnici non banali e richiedeva molto equilibrio. Appariva tuttavia giustificata sul piano dei principi dall’obbligo di solidarietà in campo sanitario. Perché limita la libertà individuale per impedire quelle dipendenze e quelle cattive abitudini che in futuro limiterebbero gravemente la libertà dell’individuo. Ed è una politica che vede numerose applicazioni all’estero.

Il decretone

Il “decretone” sulla sanità in discussione in questi giorni in Consiglio dei Ministri contiene un variegato insieme di proposte, di portata più o meno rilevante, con le quali il ministro intende “promuovere lo sviluppo del Paese attraverso un più alto livello di tutela della salute”.

Ma l’Onu non parla di pianificazione familiare

Tra i temi in discussione all’Earth Summit Rio +20, promosso dall’Onu, figurava anche la salute riproduttiva e la pianificazione familiare, ma nel documento finale non compare alcun riferimento esplicito alla contraccezione come strumento per tutelare la salute riproduttiva. Vaticano e paesi islamici sembrano concordare su questo punto. Tuttavia, pianificazione familiare e infezioni sessualmente trasmissibili restano problemi aperti, sia a livello globale che nazionale.

Il bivio del sistema sanitario

Finora la spesa sanitaria è stata governata soprattutto attraverso le leve monetarie e a livello centrale. Oggi si tratta di agire anche sulle variabili reali di produzione e consumo, a livello locale. Regioni e Asl hanno due possibilità: scaricare sul governo le responsabilità della manovra ed erogare, con i costi attuali, meno servizi. Oppure possono aumentare la produttività, tagliare gli sprechi e garantire la stessa quantità di prestazioni di oggi anche con meno risorse.

La sanità dopo la spending review

La sanità è sicuramente uno dei settori su cui si concentrano le maggiori aspettative di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica previsti dal decreto sulla spending review. La manovra impone necessariamente a tutte le Regioni, anche a quelle considerate virtuose, di intraprendere un percorso graduale di riorganizzazione dei propri servizi sanitari, in modo da rafforzarne l’efficienza e l’efficacia. Sono molti gli ambiti sui quali agire, pur nel rispetto degli obiettivi di tutela della salute che sono alla base del nostro Servizio sanitario nazionale.

Se la sanità torna ai tagli lineari

Per la sanità quella appena varata non è una spending review, ma una tradizionale manovra di riduzione della spesa. Impone le stesse misure a tutte le Regioni. Non interviene sulla qualità della spesa, rischiando di spostare semplicemente i costi dal bilancio pubblico alle tasche dei cittadini. Con il pericolo di tagliare ciò che serve e costa poco. Si rinuncia a muoversi sulla base delle più recenti evidenze scientifiche internazionali che mostrano come si possa risparmiare aggredendo l’inefficacia di molti trattamenti ancora ampiamente diffusi nei paesi sviluppati. 

Come risparmiare 200 milioni con un solo farmaco

Nella cura di una malattia dell’occhio relativamente diffusa nei grandi anziani, il trattamento con un farmaco innovativo costa 70 volte meno di quello con il farmaco di riferimento. Il medicinale meno costoso, però, non può essere prescritto a carico del Ssn perché la casa farmaceutica che lo produce non ha mai chiesto l’autorizzazione per quella patologia. Ora una sentenza del Tar dell’Emilia Romagna riconosce l’interesse delle Regioni alla prescrizione off-label. E il caso offre qualche suggerimento anche su spending review e prezzi di riferimento.

UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE PER LA SALUTE GLOBALE

Il ruolo dell’Oms è stato messo a dura prova negli ultimi anni dal rapido modificarsi dello scenario globale, con nuove priorità sanitarie e con l’emergere di nuove forme di collaborazione pubblico-privato, con annessi conflitti di interesse. Una riforma è dunque necessaria, ma non tutti sembrano volerla. Eppure il suo ruolo guida è insostituibile. Passa però da provvedimenti per la qualità della gestione e la stabilità finanziaria dell’organizzazione, dal recupero di sostegno e fiducia degli Stati membri, dalla drastica riduzione della dipendenza dal settore privato.

LA RISPOSTA A GILBERTO TURATI E AI COMMENTI

La Germania non è necessariamente il benchmark del virtuosismo fiscale. Ma è certamente il paese che con la sua reputazione di rigore e anti-inflazione ha consentito che, nel contesto di abbondanza di credito dell’epoca, l’euro portasse ad una riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico di tutti in Europa, anche di quello italiano. Dato questo punto di partenza, si può capire che i tedeschi siano attenti a come sia stato usato questo bonus dai vari paesi. All’inizio gli era stato raccontato che gli “altri” paesi – quelli che avevano vissuto di svalutazioni – con l’euro avrebbero fatto “le riforme” per guadagnare competitività. Invece, gli “altri” si sono consumati il bonus dell’euro senza fare le riforme, mentre in Germania il cancelliere Schroeder le riforme le ha fatte (e la signora Merkel ne ha beneficiato). Per questo la Germania oggi è un benchmark.
Turati e vari lettori parlano di spesa sanitaria pro-capite e di come i livelli della spesa pro-capite siano più alti in Germania che altrove. Non sta scritto da nessuna parte che tutti i paesi debbano avere lo stesso livello di spesa sanitaria pro-capite: dipende dai gusti, dalle istituzioni e anche dalle possibilità dei vari paesi. Peraltro per il bilancio pubblico conta disgraziatamente la spesa totale, non quella pro-capite. E in questo periodo di tempo, in Germania, la spesa pubblica totale è aumentata molto meno che negli altri paesi europei. Ho scritto un precedente articolo sull’argomento. Lo si può interpretare come si vuole, ma è un dato. E’ anche per questo dato che in Italia da mesi si parla della “spending review”. A me pare ovvio che questa spending review debba portare ad una riduzione della spesa pubblica, non a qualche pudico eufemismo come “riqualificazione”, “redistribuzione” e simili.
Ci sono poi alcune voci della spesa che sono aumentate più di altre e che sono anche quantitativamente più importanti di altre. I dati Eurostat dicono che, “con l’euro” (dal 2001 al 2010), la spesa totale a prezzi correnti è aumentata del 30,6 per cento in Italia. Guardando alle varie voci di spesa, si vede che la voce di spesa aumentata di più rispetto al 2001 è quella per la difesa (+ 55 per cento; da 14 a 22 miliardi). Poi viene la spesa sanitaria con +50,6 per cento (da 72 a 118 miliardi). Poi vengono le spese sociali (+46 per cento, da 208 a 317 miliardi) il cui andamento ha certamente risentito degli aumenti di spesa semi-automatici indotti dalla crisi. Tutte le altre voci di spesa pubblica sono aumentate molto meno dell’incremento medio del 30,6 per cento.
La spesa sanitaria è dunque una delle voci che è aumentata di più in Italia, il che motiva l’attenzione dedicata al tema da me e – leggo – dal governo. Ci sono varie ragioni per questo, da me sinteticamente elencate nel mio pezzo. Non siamo il paese in cui la spesa sanitaria è aumentata di più, ma anche da noi è aumentata molto più che in Germania. Inoltre, guardare all’andamento della spesa sanitaria è un test utile perché la spesa sanitaria non dipende dal ciclo ed è potenzialmente soggetta a shock simili tra paesi. Vuol dire che la spesa sanitaria dovrebbe andare in modo relativamente simile tra paesi demograficamente, socialmente e tecnologicamente simili come i paesi europei. E invece i dati di spesa indicano differenze molto grandi, il che deve farci riflettere, a mio avviso.
Infine, una volta stabilito questo punto, non ne consegue che si debbano fare tagli lineari (anzi!); del resto, non ho scritto ciò né in questo né in articoli precedenti (anzi!). Occorre guardare dentro alle varie voci di spesa, compresa quella spesa sanitaria, delle varie regioni e dei vari enti pubblici, stabilire da dove vengono gli sprechi e le ruberie che – leggendo i giornali ancora prima delle statistiche – pare abbondino, al Nord e al Sud, per ridurre la spesa pubblica complessiva.

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