Oggi alla Camera si vota per la riforma costituzionale del Polo. E’ il secondo passaggio. Dopo resta solo l’approvazione definitiva da parte del Senato. Ma non è chiaro se la riforma sarà mai applicata.
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Le reazioni negative di Regioni ed enti locali alla Finanziaria 2006 si concentrano sul livello dei tagli. Ma ancor più dovrebbe preoccupare la filosofia del provvedimento. Porre un limite alla spesa rappresenta infatti un’indebita interferenza del centro sull’autonomia della periferia. Ed è concettualmente incompatibile con il federalismo che ammette solo il controllo sul saldo di bilancio. E’ necessario evitare manovre estemporanee e impostare invece con urgenza un sistema di finanza pubblica regionale e locale che sia certo, stabile e coerente.
La maggioranza intende cambiare la legge elettorale a pochi mesi dal voto perché ritiene di poter conseguire risultati migliori col sistema proporzionale che con quello maggioritario. Ma sarebbe sbagliato pensare che la legge elettorale intervenga semplicemente cambiando l’esito, in termini di seggi, di una data distribuzione dei voti. L’esperienza indica che chi cambia la legge elettorale in genere perde voti. E i deputati e i senatori che approvano il cambiamento hanno una probabilità molto più bassa di essere rieletti dei loro predecessori o successori.
Tanti interventi correttivi sulla spesa, tutti incapaci di cogliere i risultati sperati. Perché non hanno inciso sui nodi strutturali. A partire dalla questione della finanza locale. Vincoli di bilancio rigidi non sono credibili se gli enti locali non sono dotati di strumenti finanziari adeguati. Né possono essere imposti se la legislazione nazionale interviene continuamente sulla legislazione di dettaglio nelle competenze locali, riducendone l’autonomia di azione. Eppure, una corretta interpretazione del Titolo V offre la ricetta per affrontare strutturalmente questi problemi.
L’allargamento delle competenze e la crescita dei bisogni hanno aumentato il fabbisogno dei comuni senza un corrispondente aumento di entrate tributarie. Si cerca di farvi fronte alzando gli oneri di urbanizzazione e concessione e le tariffe dei servizi pubblici. Che divengono così motivo sufficiente per opporsi alla privatizzazione anche quando la concessione mediante gara prometterebbe forti riduzioni dei costi reali. E’ un fenomeno molto preoccupante per gli effetti che minaccia di produrre sul piano dell’efficienza e dell’equità.
Il governo ha ripetutamente annunciato il ridimensionamento dellIrap disinteressandosi dei potenziali effetti sulle finanze regionali. Come compensare le Regioni per la perdita di gettito conseguente al ridimensionamento dellIrap? La questione va inquadrata nella prospettiva più ampia del ridisegno complessivo della finanza regionale necessario per realizzare i principi contenuti nel nuovo Titolo V della Costituzione. La soluzione non è a portata di mano né sono state avanzate proposte plausibili. Una prospettiva possibile, non priva di controindicazioni, consiste nellampliamento della addizionale Irpef.
Il sistema contrattuale nato dagli accordi del 1993 ha molti limiti, ma la sua sostituzione non sarà facile. La contrattazione decentrata potrebbe tramutarsi in un aumento del costo del lavoro. Mentre allungare la durata dei contratti sarebbe un grave errore. Meglio intervenire sul contratto nazionale, che dovrebbe riguardare solo il salario minimo di base comune a tutti i lavoratori. Ma non sembra ci siano le condizioni per farlo. Né la misura è la più urgente per ridare competitività al sistema produttivo italiano. Il rischio è di ripetere la vicenda dell’articolo 18.
Molte le ipotesi di riforma del sistema tributario regionale. Nessuna proposta però appare del tutto soddisfacente. Sostituire l’Irap con maggiori spazi di manovra delle Regioni sull’Irpef non risolve il problema della sperequazione territoriale delle risorse e soffre dell’assenza di alcuni cespiti dalla base imponile dell’imposta sui redditi. Al contrario, attribuire alle Regioni imposte sui consumi renderebbe la dotazione finanziaria più equilibrata, ma appare difficile garantire adeguati spazi di autonomia. Servirebbe allora un’innovazione istituzionale come la Vivat.
Nella campagna elettorale si è discusso molto poco di temi regionali. Forse perché il processo di decentramento è in una fase di ripiegamento. E se sarà approvata, la nuova riforma costituzionale è destinata ad accentuare ancora di più la confusione legislativa. Un peccato perché il decentramento potrebbe essere un importante elemento nella strategia di recupero d’efficienza del paese. Basta pensare al Nord Europa, dove i governi locali controllano più del 50 per cento delle risorse. Sono anche i paesi europei che crescono di più.
Sarà forse abbandonato il decreto che fissava un meccanismo automatico di perequazione nella distribuzione delle risorse alle Regioni. Eppure, se applicato correttamente, avrebbe permesso di garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario delle diverse Regioni e di avvicinare la loro capacità fiscale. Oltre a essere compatibile con il sistema di federalismo fiscale delineato dallarticolo 119 della Costituzione. Lalternativa ipotizzata è un finanziamento sulla base del fabbisogno. In altre parole, un ritorno alla finanza derivata degli anni Ottanta.