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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 69 di 89

Il nuovo fisco regionale? Quello di prima

Nel decreto omnibus sul federalismo fiscale approvato dal governo è delineato anche il sistema di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario. I tributi disponibili restano quelli di oggi: Irap, addizionale Irpef, compartecipazione Iva, con qualche margine di manovra in più, seppure sotto il vincolo di non aumentare la pressione fiscale generale. Sul sistema perequativo delle Regioni, lo schema di decreto aggiunge poco a quanto detto dalla legge delega. Scioglie alcuni ma non tutti i dubbi e suscita però anche nuovi interrogativi.

Se il costo standard diventa inutile

Il governo ha approvato la bozza di decreto sui costi standard in sanità. Saranno applicati solo dal 2013 e potrebbero aprire la strada a tagli al budget del Sistema sanitario nazionale. Ma la vera sorpresa è che i costi standard diventano irrilevanti per la ripartizione dei fondi e per stimolare l’efficienza delle Regioni, tanto che lo stesso risultato si può ottenere applicando qualsiasi costo standard, basso o alto.

Costi standard: nome nuovo per vecchi metodi

La vera partita del federalismo fiscale si gioca sulla finanza regionale e in particolare sulla definizione dei costi standard nella sanità. Nel decreto presentato dal governo, il sistema di definizione del fondo sanitario e i meccanismi di riparto restano sostanzialmente quelli già in vigore da oltre dieci anni. E anche i nuovi costi standard-criteri di riparto sono gli stessi già adottati in passato. Mentre scompare il periodo di transizione. Si rischia così di favorire la conflittualità fra le Regioni e la discrezionalità della peggiore politica.

Cedolare con molti difetti

L’introduzione della cedolare secca farà probabilmente emergere parte dei redditi da affitto finora non dichiarati al fisco, grazie al contrasto di interessi che si crea tra proprietario e inquilino. Difficilmente invece riuscirà ad ampliare l’offerta di case in locazione, anche perché si applica solo alle persone fisiche. Mentre mette la parola fine al tentativo di abbassare i canoni attraverso la leva fiscale. Gli effetti sui comuni.

La risposta ai commenti

Rispondo ai gentili contributi dei lettori del mio post per condividere essenzialmente le osservazioni espresse. Attivare politiche di sviluppo a livello locale significa in effetti promuovere la sinergia tra strategie e interventi volti a raggiungere obiettivi condivisi tra più enti e portatori di interessi a livello locale.
E’ quindi naturale che premessa indispensabile alla realizzazione del processo sia l’’acquisizione della consapevolezza del problema, delle sue manifestazioni e quindi una individuazione delle possibili soluzioni.
E’’ vero come sottolinea la Sig.ra Daniela che tale consapevolezza non va data per scontata e che subiamo il retaggio di un sistema di welfare standardizzato che in parte ha inibito la capacità dei singoli e delle organizzazioni di vedere i problemi ed elaborare soluzioni e in parte ne ha spesso indotto una metabolizzazione o assuefazione per cui non si riconosce il problema dal momento che da troppo tempo ci si è abituati a risolverlo alla meno peggio e mi riferisco in particolare alla tendenza di madri e famiglie a sottovalutare il problema della lotta che, quotidianamente,  ciascuno di noi combatte contro il tempo e contro il portafoglio per conciliare i propri oneri di cura e di lavoro.
Ma i tempi cambiano e a volte è proprio l’’assenza preordinata di risposte e risorse che può modificare la domanda stessa. Ciò non significa che il bisogno non esistesse anche prima. Le donne oggi non sono più in grado, come lo sono state le loro madri e le loro nonne, di reggere il peso di un welfare deficitario che le considera ancora depositarie del senso di responsabilità e quindi deputate a prendersi cura degli altri ma nemmeno sono in grado di reggere il peso di un sistema economico che le vuole presenti, disponibili, competitive e flessibili.
Le donne, appunto, sono ancora poco capaci di rappresentarsi ed essere rappresentate. Ancora troppo impegnate nella gestione degli impegni quotidiani tendono ad essere trascurate dallo stesso sindacato al quale faticano ad appartenere e partecipare. La contrattazione sindacale e i relativi accordi raramente affrontano il problema della conciliazione famiglia-lavoro se non nelle grandi realtà aziendali. Servirebbero politiche di gestione del part-time, introduzione della flessibilità oraria, della personalizzazione degli orari di lavoro in base alle necessità dei singoli, benefit e voucher per le spese di istruzione e accudimento figli. Servirebbero accordi che definiscono gli impegni aziendali e i diritti dei lavoratori ma anche accordi che ristabiliscono l’’alleanza tra datori di lavoro e lavoratrici al fine di abbattere il costo del lavoro e defiscalizzare le politiche di valorizzazione del capitale umano.

Federalismo: a che punto siamo?

In allegato la presentazione tenutasi, il 15 settembre 2010, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de staging.lavoce.info

La politica degli slogan sui dipendenti pubblici

La manovra economica dell’estate 2010 rivela ancora una volta le incoerenze del legislatore nel tentativo di riorganizzare e dare efficienza all’amministrazione pubblica. Almeno tre aspetti della manovra sono in evidente contrasto con la riforma Brunetta, entrata in vigore nemmeno un anno fa. Rimborsi negati a chi utilizza la propria auto per ragioni di servizio, dimezzamento degli investimenti in formazione e rinuncia agli incentivi economici mostrano come la ricerca di maggiore produttività, così come la meritocrazia, non siano altro che slogan.

La risposta ai commenti

Sono piacevolmente sorpresa dell’’interesse suscitato da un pezzo che riporta il dettaglio degli studi scientifici sugli effetti dell’’inquinamento dell’’aria sulla salute umana.
Naturalmente, l’’interesse maggiore è centrato sulle possibili soluzioni da adottare per contenere questo fenomeno. Mi sembra interessante ed estremamente attuale quanto osservato da Giuseppe Caffo, che sottolinea la necessità di scelte importanti quando la difesa della salute sembra essere in contraddizione con gli interessi del settore produttivo, a meno di rilevanti innovazioni.
Dello stesso tenore è il commento di Marco Spampinato, che richiama l’’attenzione sulla necessità di valutare l’’efficacia degli interventi mirati a migliorare la qualità dell’’aria. Approfitto del suo commento per ricordare che la valutazione di efficacia di questi interventi è attualmente orientata, a livello internazionale (Health Effect Institute), su cinque tematiche che vanno dal bando del carbone come combustibile, ad interventi complessi di lungo termine e di largo raggio che riguardano più di un paese (1) . La riduzione del traffico è inclusa tra le tematiche ma, fino ad ora, le tante soluzioni adottate, non sempre confrontabili tra loro, hanno prodotto risultati non univoci, come nell’’ultima esperienza londinese, nota come “London Congestion Charge” (2).
Il commento di Bruno Stucchi, anche se improntato ad una intolleranza direi antigalileiana, mi dà l’’opportunità di fare qualche considerazione sui criteri di causalità (originariamente fissati da Bradford-Hill) che si utilizzano anche negli studi epidemiologici. L’’ultimo di questi criteri, e forse il più intrigante, dice che, rimossa la causa di una patologia, la sua frequenza dovrebbe ridursi. Anche nel nostro caso, come suggerisce anche Fabrizio Balda, il risultato atteso, quando si riduca la concentrazione del particolato (PM10), è un miglioramento dello stato di salute della popolazione. Allo stesso principio si ispirano le direttive della Comunità Europea nell’’adottare limiti sempre più ridotti per la concentrazione degli inquinanti atmosferici.
Per questa ragione lo stesso gruppo di ricercatori ha proposto un secondo progetto (EPIAIR2), che è stato approvato dal Ministero della Salute ed è appena iniziato. L’’obiettivo è quello di misurare, nelle stesse aree, l’’effetto degli inquinanti atmosferici nel periodo 2006-2009, durante il quale si è registrata una riduzione del particolato. Il progetto, che sarà coordinato da ARPA Piemonte, presenta tre novità importanti: 1) include altre città rispetto alle 10 originarie, in modo da ottenere una migliore rappresentatività a livello nazionale; 2) stima gli effetti della frazione fine del particolato (PM2.5), di cui non erano disponibili a dati per il 2001-2005 e che rappresenta la frazione più attiva rispetto agli effetti sulla salute; 3) utilizza anche dati di caratterizzazione chimica del particolato. Questa scelta si ispira ai risultati dei più recenti studi internazionali che hanno evidenziato la possibilità di effetti sanitari importanti anche dopo riduzione della concentrazione del particolato. L’’ipotesi di diversi ricercatori sia in USA che in Europa è che la composizione chimica del particolato possa spiegare questo andamento.
Da lettrice appassionata della Domenica quiz (spero non me ne vogliano i lettori della Settimana enigmistica per questa storica rivalità) devo spezzare una lancia a favore delle riviste di enigmistica. Non vi troverete i risultati dei più recenti studi scientifici, e neanche del nostro EPIAIR, ma i giochi che propongono irrobustiscono la capacità logica che molto contribuisce ad un approccio scientifico ai problemi.

(1) Annemoon M. M. van Erp, Robert O’Keefe, Aaron J. Cohen, and Jane Warren. Evaluating the Effectiveness of Air Quality Interventions. Journal of Toxicology and Environmental Health, Part A, 2008; 71: 583–587.
(2) C Tonne, S Beevers, B Armstrong, F Kelly, P Wilkinson. Air pollution and mortality benefits of the London Congestion Charge: spatial and socioeconomic inequalities. Occupational and Environmental Medicine 2008; 65:620-627

Il mantra dell’ente virtuoso

Il premio agli enti locali virtuosi è ormai una sorta di mantra della finanza pubblica italiana. Il problema è che le definizioni di “virtuoso” sono troppe e si basano su parametri spesso diversi e a volte contraddittori. Accade così che talvolta rientrino nella categoria anche comuni che sulla base di altri criteri erano stati giudicati vicini al dissesto finanziario. Per ogni tipologia di ente servirebbe invece una regola univoca, stabile e soprattutto non soggetta a continue eccezioni.

Dietro al “federalismo solidale”

Il federalismo solidale proposto da Fini a Mirabello sembra implicare costi standard più alti al Sud o addirittura definiti ai livelli delle Regioni meno efficienti. Così, il federalismo avrà costi molto elevati per le casse dello Stato. Non solo. Il nuovo partito si candida a essere un sindacato del territorio, con base nel Mezzogiorno. E le elezioni politiche potrebbero sancire una cesura territoriale delle rappresentanze politiche senza precedenti.

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