Uno degli argomenti nel dibattito sul referendum è il risparmio di costi della politica che ne conseguirebbe. Stimiamo un risparmio massimo per il contribuente di 140 milioni due anni dopo l’entrata in vigore della riforma e di 160 milioni a regime. Una stima, ovviamente, con margini di incertezza.
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La riforma costituzionale ha modificato gli articoli sui referendum. Diventano ora possibili quelli consultivi e propositivi. Per gli abrogativi, così come per le leggi di iniziativa popolare, cambiano le soglie del numero dei firmatari. Forse generoso lo sconto previsto in alcuni casi sul quorum.
Vari studi dimostrano che esecutivi più stabili e longevi favoriscono politiche meno miopi. Perché non hanno bisogno del consenso immediato degli elettori e possono concentrarsi su interventi che danno risultati nel medio periodo. Come investimenti in istruzione e riduzione del debito pubblico.
Perché la riforma costituzionale non ha modificato anche l’articolo 68, sulla immunità dei parlamentari? Il tema è particolarmente sentito per i senatori. Ma l’istituto è una garanzia che spetta di diritto a tutti i membri di un organo legislativo. Cosa è già cambiato con le modifiche del 1993.
Il referendum del 4 dicembre può essere considerato una ricerca statistica per misurare l’atteggiamento degli elettori nei confronti della legge costituzionale. La formulazione del quesito e le regole sulla necessità che si rilevi un solo concetto, in modo chiaro e senza suggerire la risposta.
In Italia il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito (o quasi) nel 1993. In altri paesi nel mondo, invece si pensa di vietare le donazioni private sostituendole con i finanziamenti statali. Qual è il modello più trasparente? Forse il caso della Lituania ci può dare qualche risposta.
Nella campagna referendaria si discute molto di velocità di approvazione delle leggi. Il confronto con altri paesi mostra che in media il nostro parlamento non impiega più tempo per varare una legge. Ma c’è una grande differenza tra decreti del governo e norme di iniziativa parlamentare.
Le poche ricerche empiriche che mettono a confronto compensi e qualità della classe politica sembrano indicare che se l’indennità è più alta, migliorano i risultati ottenuti dalle amministrazioni. Vale però per i governi locali. Più difficile valutare i deputati. Soprattutto se sono “nominati”.
Poteri di proposta di nuove leggi e pareri sui provvedimenti approvati dall’altra camera. Si fermano qui le similitudini tra il Senato delle autonomie che esce dalla riforma costituzionale e il Bundesrat. Le differenze dovute a due diverse impostazioni: federalista in Germania, regionale in Italia.
Ragioni squisitamente politiche portano a riemettere in discussione l’Italicum. Si ipotizza l’eliminazione del ballottaggio e l’introduzione del premio di coalizione. Due novità che però minerebbero l’intero impianto di quella legge elettorale. Non sarebbe forse meglio ricominciare tutto da capo?