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Le fondazioni bancarie: una risposta a mucchetti

Lettera al Corriere della Sera

Caro direttore,

Massimo Mucchetti nel suo articolo di sabato 23 ottobre ci arruola al “partito di Geronzi”. La ragione? Un nostro intervento su staging.lavoce.info sarebbe ripreso dal Foglio a sostegno di tesi dell’attuale Presidente di Generali. In questo intervento, coerentemente con quanto pensiamo e scriviamo liberamente da tanto tempo, sosteniamo che: 1) le fondazioni bancarie farebbero bene a diversificare il loro portafoglio per meglio svolgere le loro funzioni sociali; 2) avendo vertici di nomina politica, non dovrebbero nominare a loro volta i consiglieri delle banche, evitando ancor di più di sceglierli tra le proprie fila. Quanto alla nostra vicinanza a Geronzi, invitiamo a leggere su questo sito cosa abbiamo scritto sul curriculum dell’ex banchiere. Non ci risulta che Mucchetti abbia mai dato queste informazioni ai suoi lettori.

Il caso profumo e il rispetto delle regole

La sera del 21 settembre il consiglio di amministrazione di Unicredit ha tolto la fiducia all’amministratore delegato, Alessandro Profumo, costringendolo alle dimissioni, e ha assegnato tutte le deleghe operative al presidente Dieter Rampl. Ma un principio fondamentale del buon governo societario è che non vi sia mai un accentramento di tutti i poteri nelle mani di un singolo individuo. Ed è un principio pienamente accolto nelle regole emanate dalla Banca d’Italia. Si è così creata una situazione anomala. Speriamo almeno che duri poco.

Come affondare l’unica banca multinazionale italiana

E’ stato un gesto di irresponsabilità, in cui hanno giocato un ruolo decisivo le fondazioni bancarie, quello che ha portato all’impeachment di Alessandro Profumo senza un sostituto e senza un preciso capo d’accusa. Un nuovo amministratore delegato dovrà essere trovato entro poche settimane, da un consiglio tutt’altro che coeso al suo interno. Bene che si faccia sin d’ora chiarezza sui criteri e le procedure che verranno seguite nel selezionare i candidati. Sarà fondamentale anche rivedere la governance di Unicredit che si è rivelata fragilissima. La lezioni da trarre è che le fondazioni devono uscire dalle banche. Gioverebbe alle banche, alla collettività. E anche a loro.

Due domande alle fondazioni azioniste di Unicredit

Scriveva l’’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel febbraio 2009 in merito alle fondazioni bancarie:

“La loro centralità per la stabilità, soprattutto nell’’attuale fase, deve, quindi, necessariamente essere bilanciata da una nuova e trasparente modalità d’’azione, sotto un duplice profilo: la loro modalità di azione come azionisti e la loro stessa struttura di governance. È  infatti necessario che le fondazioni rendano trasparente il processo decisionale sulle modalità con le quali esercitano i diritti di voto nelle società partecipate, nonché definiscano i criteri in base ai quali le stesse fondazioni – anche unitamente ad altri azionisti – selezionano i candidati da proporre per le cariche degli organi di governo delle società partecipate, in quest’’ultimo caso anche alla luce dell’’esigenza di non candidare soggetti caratterizzati da conflitto di ruoli”.

Le due domande che rivolgiamo alle fondazioni azioniste di Unicredit sono: in base a quali criteri avete preso la recente decisione sull’’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo? Come intenderete procedere per la sua sostituzione?

Corporate Governance oltre i dogmi del passato*

La crisi globale ha rilanciato l’interesse per il sistema delle istituzioni e delle regole che governano il funzionamento dell’impresa. Ripartendo dal sostanziale fallimento dell’autoregolazione, ma consci anche dei limiti della regolazione. I paesi dell’Ocse hanno espresso la volontà di adottare principi comuni per rendere la crescita economica più forte, più sana e più equa. E riconoscono la necessità di promuovere l’applicazione dei principi di correttezza, integrità e trasparenza nella conduzione degli affari e delle attività finanziarie internazionali.

La Borsa vuota delle piccole imprese

Oggi sono soggette a una disciplina identica a quella applicabile alle Blue Chip. Invece, le piccole e medie imprese europee quotate, le cosiddette Smile, necessitano di un regime normativo proporzionato alle loro dimensioni, che comporti l’applicazione di oneri e costi minori. E ciò non significa ridurre la tutela dei risparmiatori. Anche perché le Smile interessate dal regime agevolato sono poco meno del 7 per cento della capitalizzazione e degli scambi a livello comunitario. Non rappresentano perciò né un rischio di mercato né un rischio sistemico.

COME TENERE A BADA I CONFLITTI D’INTERESSE IN SOCIETÀ

La Consob ha emanato il nuovo Regolamento sulle operazioni con parti correlate, che introduce una disciplina radicalmente innovativa delle operazioni compiute dalla società con controparti legate da rapporti particolari, operazioni particolarmente adatte a estrarre dalla società “benefici privati”, ovverosia non condivisi con gli azionisti di minoranza. Una buona notizia per la borsa e per l’economia nazionale.

LA CONSOB E LE RELAZIONI PERICOLOSE

Operazioni con parti correlate, conflitti di interesse, strutture proprietarie chiuse e club ristretti di amministratori sono vizi endemici della borsa italiana. Chi ne soffre sono i piccoli azionisti e, con loro, l’economia nazionale, perché si alza il costo del capitale, che sconta gli abusi compiuti dai soci forti. E’ ancora in bozza un regolamento Consob che adatta e applica principi e procedure tratti dal diritto americano. E’ così in grado di rivoluzionare il trattamento delle operazioni che più si prestano a espropriare i soci di minoranza.

SPOILS SYSTEM ALL’INGLESE

Serve o non serve lo spoils system nella pubblica amministrazione? Serve a portare nel settore pubblico talenti o manager di successo? In Inghilterra si è tentata una strada che punta su trasparenza e merito. La responsabilità ultima delle nomine al vertice dei “public bodies” resta dei ministri competenti. Ma la scelta avviene sulla base di una ristretta lista di candidati selezionati da un gruppo di esaminatori indipendenti. Che non rispondono al ministro, ma a un commissario altrettanto indipendente dal governo. E che ogni anno manda al parlamento un rapporto dettagliato.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i lettori che hanno mandato dei commenti al mio intervento. Per quanto riguarda l’impatto della diversità sui risultati aziendali, rimando a "Women Directors on Corporate Boards: A Review and Research Agenda" di Siri Terjesen, Ruth Sealy e Val Singh (in Corporate Governance: An International Review, 2009, 17(3): 320-337). Il motivo per cui una grande quantità di studi empirici dimostra che la diversità migliora la corporate governance è abbastanza semplice — essa (che sia di genere, di nazionalità o di background professionale) permette di meglio esaminare i problemi e quindi di trovare in media soluzioni più efficaci.
Per quanto riguarda la questione più vasta del merito, come suggerisco alla fine del mio intervento i meccanismi di selezione delle elite (di cui gli amministratori di società quotate sono un esempio) si basa su dinamiche di cooptazione. Gli insiders selezionano per entrare in questa elite altre persone con caratteristiche simili, tra cui in particolare un vissuto comune. Se ci sono tanti bocconiani, tanto per fare un esempio pratico, non è solo perché la Bocconi è un’ottima università, ma anche perché più bocconiani ci sono in un consiglio più aumentano le chance che un altro venga cooptato. In queste dinamiche ci sono effetti di soglia — per le donne in particolare fino a che sono poche (o addirittura fino a che le poche che sono presenti lo sono per "tokenism") è difficile che possano suggerire agli altri amministratori un potenziale candidato per il consiglio.
Il punto sui consigli delle banche è molto interessante. In effetti ci sono ben 20 amministratori stranieri nelle banche del MIB30 (di cui 8 in Unicredit e 6 in Mediobanca) e altri 8 in Generali. È molto positivo che gli stranieri possano fare carriera nella seconda banca e nella prima società assicuratrice italiane e questo serve a sfatare in parte il pregiudizio di un capitalismo completamente bloccato. Ma per l’appunto sono pochi gli indipendenti. Speriamo che la presenza di una donna nel direttorio di Via Nazionale sia un incitazione. Del resto la dott.ssa Tarantola ha dichiarato in un intervento: "ritengo che gli stereotipi facciano parte di una
cultura d’azienda desueta, non in linea con i canoni di trasparenza ai quali le imprese sono chiamate ad attenersi sui diversi fronti, da quello contabile a quello della corporate governance. Non consentendo il pieno sviluppo della competizione interna e l’affermazione del merito, limitano l’efficace impiego di tutte le risorse".

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