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Categoria: Imprese Pagina 28 di 32

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i lettori e in primo luogo offro una prima risposta collettiva: non esistono pasti gratis.
I commenti pervenuti rappresentano una efficace sintesi  di tutti i problemi (e non sono pochi) tra i quali bisogna districarsi per realizzare una auspicabilmente  efficiente sistema dei controlli societari.
Armando Guerra,  ad esempio, richiama il rischio che ogni tentativo di snellimento sia bloccato sul nascere da chi è troppo appassionato di burocrazia, oppure più prosaicamente da chi vuole proteggere propri interessi corporativi: ha ragione, ma lo invito a leggere meglio l’articolo, perché il mio sforzo non è affatto quello di annullare i benefici delle nuove norme, ma di evitare l’inutilità dei controlli, proponendo una suddivisone tra sindaco unico nelle realtà imprenditoriali minori e collegio in quelle maggiori,  come suggerisce anche Giacomo Giuritano.
Nessuno nega che finora i controlli interni delle società abbiano messo  in evidenza più di una criticità, se non proprio buchi neri, come quelli che richiama L. Scalzo, ma o li aboliamo, o cerchiamo di andare oltre gli anatemi individuando una strada per una equilibrata riforma. Il percorso da me indicato cerca di essere un contributo, per renderli  semplici, indipendenti autonomi ed efficaci.
Un contributo discutibile finchè si vuole, ed anzi questo dibattito meriterà molti approfondimenti , ma che si fonda su due banalissimi presupposti, spesso dimenticati.
Il primo è che i controlli interni sono e continuano comunque ad essere utili e il secondo è che, se si condivide questo orientamento, bisogna anche accettare il fatto che costano.
Non è un caso che tutti i più recenti studi  sulla  governance societaria mettono in rilievo il loro ruolo centrale nella prevenzione e nel monitoraggio dei nuovi rischi emersi dopo la crisi finanziaria, ed anche i paesi anglosassoni, a proposito di quello che dice Ottavia, stanno rivedendo le loro posizioni sul sistema monistico che oggettivamente li indebolisce.
Infine,  per quanto riguarda la domanda sugli stakeholder che controllano le relazioni  dei collegi sindacali delle piccole imprese,  sicuramente non sono molti, ma, a proposito di trasparenza,  ve lo immaginate cosa sarebbero gli stessi bilanci senza nemmeno quelle tanto bistrattate relazioni?

LE SOCIETÀ E I RISCHI DEL SINDACO UNICO

La legge di stabilità ha modificato il sistema dei controlli interni delle società. Ora tutte le srl e le spa con ricavi o patrimonio netto inferiori a un milione di euro possono nominare un solo sindaco invece di un collegio sindacale. È sacrosanto liberare le imprese da oneri normativi che ne bloccano lo sviluppo. Ma un buon sistema di controllo significa aiutarne la maturazione verso assetti più efficienti e trasparenti. Proprio quello di cui le piccole e medie imprese avranno sempre più bisogno. Ed è illusorio fare affidamento sulle capacità di autocontrollo dei soci.

DONNE NEI CDA: ANCORA TUTTO IN FAMIGLIA*

In Italia la presenza femminile ai vertici delle imprese è ancora molto scarsa. In agosto, però, è entrata in vigore la legge che impone alle società quotate di riservare alle donne almeno un terzo delle posizioni in consiglio di amministrazione. Cosa dobbiamo aspettarci? Un’analisi sulle consigliere attuali suggerisce che è fondamentale una selezione attenta a competenze e qualità, piuttosto che ai legami con le imprese. E va associata a processi di formazione dei nuovi membri dei consigli. Ne potrebbero trarre benefici significativi soprattutto le società la cui governance non è ottimale.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie ai lettori per i commenti, sia perché mi consentono di specificare alcuni profili sacrificati dalla sintesi dell’articolo, sia perché offrono spunti per ulteriori approfondimenti.
Il primo aspetto importante: è evidente che le fondazioni devono innanzitutto guardare ai dividendi che ottengono dalle partecipazioni  bancarie, ma è inutile, in una prospettiva di medio lungo termine, farsi illusioni: non saranno più i succosi dividendi del passato, al contrario la prospettiva  è decisamente magra e inviterei i lettori a non essere più realisti del re. Nel mio articolo  cito la “Carta delle Fondazioni” che l’ACRI intende, meritoriamente, elaborare. E’ la stessa ACRI a dire, testuali parole, “L’evoluzione del ruolo delle fondazioni richiede una programmazione puntuale nel medio lungo periodo, con la conseguente necessità di poter contare su flussi costanti di introiti derivanti dall’investimento dei patrimoni”. Se questo non significa aprire la strada ad una seria diversificazione degli investimenti, nella consapevolezza di non poter più fare affidamento nel bengodi dei dividendi bancari.. …..
La mia proposta prevede che l’insieme delle partecipazioni sia gestita da  intermediari specializzati che da un lato  possano “far massa” e quindi valorizzare maggiormente l’investimento, dall’altro introdurre un elemento di separazione tra le fondazioni e le banche (ad esempio provvedendo a nomine dove siano più forti le qualità professionali e di indipendenza degli amministratori). Un lettore sostiene, a ragione, che questo comunque non elimina del tutto l’intreccio e il rischio di conflitti di interesse, ma premesso che la soluzione perfetta non esiste,  sicuramente contribuisce ad attenuare queste criticità. E’ poi del tutto evidente, che queste soluzioni si possono realizzare solo sul piano volontario e dell’autoregolamentazione: nessuno le deve imporre, a mio parere è nell’interesse stesso delle fondazioni adottarle.
L’altra obiezione significativa di molti lettori riguarda il ruolo delle fondazioni nel sostegno  alle piccole banche locali in grado di favorire lo sviluppo dei territori. Nessuno nega questo ruolo ma la domanda è: siamo cosi’ sicuri che una piccola impresa per crescere non abbia bisogno di servizi e strumenti che solo grandi intermediari sono in grado di offrire? Se continuiamo  a commiserarci  (come il lettore che si rassegna al fatto che “la nostra realtà economica non permette megabanche”) daremo ragione, e mi scuso per l’ autocitazione di un mio precedente articolo, al  Presidente francese Sarkozy, che nell’ultimo incontro bilaterale ha candidamente dichiarato, a proposito della vicenda Parmalat, che Francia e Italia possono felicemente  integrarsi perchè intanto noi abbiamo il 90 per cento di piccole imprese,  mentre alle grandi ci pensano loro!  

FONDAZIONI, È ORA DI CAMBIARE PELLE

La tumultuosa estate dei mercati lascia sul campo molti feriti. Può però rappresentare una buona occasione per riforme che in tempi normali incontrerebbero molti ostacoli. Come nel caso delle fondazioni bancarie. Le risorse messe a disposizione dalle fondazioni per le comunità hanno giocato un importante ruolo integrativo se non sostitutivo nel welfare locale. Ed è un compito che sempre più saranno chiamate a svolgere. Conviene allora che continuino a mantenere l’intreccio, spesso assai costoso, con le banche?

CONTRORDINE CONSOB: LE SCALATE NON FANNO BENE

L’Opa è stata al centro della relazione del presidente Consob al mercato finanziario. Preoccupa il rischio di distruzione di valore e di inefficienze nella governance post-Opa. Preoccupazione certamente condivisibile, ma è rivolta solo agli investitori stranieri o anche agli italiani? Alcune soluzioni sono già nelle modifiche al regolamento emittenti. E se la maggiore tutela delle minoranze non ha dato i frutti sperati, non si capisce perché aumentare gli ostacoli a chi voglia lanciare un’Opa dovrebbe indurre i risparmiatori italiani a investire nella Borsa.

LA PARTITA È SOLO ALL’INIZIO

La caduta di Geronzi non significa un rinnovamento del capitalismo italiano perché i nuovi attori non hanno proposto un disegno alternativo, ma hanno semplicemente costruito nuovi intrecci che si sono avviluppati intorno a quelli vecchi. La novità invece è la sempre più attiva partecipazione dei fondi internazionali alle assemblee. Si profila dunque uno scontro duplice: da un lato quello fra protagonisti vecchi e nuovi del nostro capitalismo di relazioni e dall’altro quello fra la via italiana alla governance dei grandi gruppi e le prassi dei mercati internazionali.

 

A VOLTE RITORNANO: L’IRI

La nostalgia per il ritorno del capitalismo di Stato è oggi forte in Italia. Tanto da sfociare in un decreto che consente alla Cassa depositi e prestiti di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale. L’attuale irresistibile desiderio di italianità delle imprese porta però alla riproposizione di un’Iri tutta particolare, perché le sue risorse derivano dalla raccolta postale. Forse, bisognerebbe provare a raccontare la realtà anche dalla parte di chi acquista i prodotti e utilizza i servizi.

SE ANCHE CONSOB DIFENDE L’ITALIANITÀ

Il presidente della Consob esprime alcune preoccupazioni sulle regole che disciplinano le Opa. La prima ha a che vedere col fatto che in questo momento le aziende europee, e in particolare le italiane, hanno meno liquidità di quelle asiatiche. La seconda riguarda la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di Opa. Se per rivitalizzare il mercato finanziario italiano, occorre renderlo più attraente, non si vede che utilità possano avere provvedimenti volti a ridurre la contendibilità delle imprese e a mantenerne l’italianità.

CIÒ CHE VORREMMO POTER SCRIVERE SUL DOPO GERONZI

Abbiamo scritto su questo sito di Cesare Geronzi quando nessuno osava parlare di lui (Boeri, Bragantini, Guiso, Boeri). Oggi che tutti tracciano profili biografici del personaggio – omettendo, ad eccezione del Financial Times, trascorsi giudiziari e procedimenti pendenti – vogliamo invece guardare avanti, occuparci del dopo Geronzi.
Vorremmo poter scrivere che d’ora in poi ci sarà una sanzione sociale per chi viola le regole, che la reputazione conterà nella corporate governance in Italia. Purtroppo non è così. I trascorsi di Geronzi non hanno giocato alcun ruolo nella sua uscita di scena. A voltargli le spalle sono stati gli stessi che gli avevano permesso per anni di concentrare su di sé un potere immenso, guidando banche  nonostante avesse subito un’interdizione giudiziaria temporanea dall’attività bancaria a opera del Gip di Bologna in relazione all’inchiesta sul crac Parmalat, fosse indagato per il crac della Cirio, per il caso Parmalat-Ciappazzi e per la vicenda Eurolat, con un rinvio a giudizio con l’accusa di concorso in bancarotta e usura, avesse già subito una condanna in primo grado per concorso in bancarotta nel caso Italcase Bagaglino a un anno e otto mesi di reclusione e fosse stato dichiarato temporaneamente inabile all’impresa commerciale e agli uffici direttivi.
Vorremmo poter scrivere che d’ora in poi si allenterà la stretta della politica sulla corporate governance. Purtroppo non è affatto detto che sia così. L’uscita di scena di Geronzi coincide con il cambiamento dello statuto della Cassa depositi e prestiti, volto a permettere interventi su società quotate e non solo su piccole imprese. È possibile che si tratti della solita boutade di Tremonti, per intenderci un’altra Banca del Sud su cui guadagnarsi qualche titolo di giornale e nascondere il proprio immobilismo in un paese impaludato. Ma c’è anche il rischio che il fondo strategico sia il preludio di un rinnovato ruolo dello stato nell’economia, magari sempre attraverso Mediobanca. Più che l’operazione Cdp in quanto tale, ciò che preoccupa è mancanza oggi in Italia di una cultura politica che sappia porre un argine a un governo che voglia tornare ad essere protagonista dei cambiamenti nella struttura proprietaria delle grandi aziende.
Vorremmo poter scrivere che ha vinto l’internazionalizzazione sugli intrecci tra politica e finanza. Geronzi è stato l’incarnazione delle ingerenze della politica nella finanza, che permettono ad aziende strutturalmente in perdita di sopravvivere creando attorno a loro un ampio consenso politico. Prodotto e insieme artefice della cosiddetta “finanza romana” è riuscito anche per qualche tempo a proporsi come il centro di gravità della finanza del Nord. Ma i vincitori nello scontro di potere sembrano ancora tutti appartenere al capitalismo relazionale italiano: si passa solo da una costellazione all’altra. Nuovi giochi di palazzo al posto dei vecchi. Ritorna in gioco Unicredit che, con Profumo, si era tirata fuori da Mediobanca e Generali. E ritorna in gioco Mediobanca.
Vorremmo poter scrivere, come qualcuno ha fatto, che è una vittoria degli amministratori indipendenti. Lo è solo in parte: si è trattato di minoranze organizzate, dipendenti da altri o "indipendenti di maggioranza", l’ossimoro che gira in molti consigli, piuttosto che espressione di investitori istituzionali e piccoli azionisti. Non è dunque l’inizio di un nuovo capitalismo, né il primo passo verso il decollo delle public company in italia. Quello che accadrà ora è molto legato agli sviluppi in Mediobanca e Unicredit, dunque alle Fondazioni bancarie. Conta poco chi sostituirà Geronzi, soprattutto dopo che la scelta è ricaduta su Gabriele Galateri di Genola. Speriamo solo che un management più giovane, voglia, come ha dichiarato di voler fare, allentare il blocco dei patti di sindacato, semplificando e rendendo più trasparente la struttura di controllo delle società quotate, a partire da Mediobanca. Sempre che la Consob non si metta di mezzo. Sconcertante che il suo nuovo presidente dichiari di voler fare di tutto per diminuire la contendibilità delle società quotate, “proteggendo le imprese e non gli investitori”. Vegas ha votato la fiducia a Berlusconi dopo essere stato nominato ai vertici della Consob. Oggi sembra il miglior interprete del capitalismo all’italiana: capitalisti che non vogliono metterci i capitali, persone che vogliono controllare senza investire.

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