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Categoria: Immigrazione Pagina 36 di 42

CLASSI PONTE? UN’INVENZIONE ITALIANA

Nei paesi avanzati non ci sono precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Ci sono invece molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel nostro paese la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito di più nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare solo verso queste gli alunni immigrati. Problemi di merito e metodo della proposta.

IMMIGRAZIONE? NON E’ TUTTO BIANCO O NERO

L’immigrazione è un tema che suscita forti divergenze d’opinione. Per questo è molto usato in campagna elettorale. Alcuni studi sono utili a sfatare diversi miti: ad esempio non è detto che un forte flusso migratorio abbia ricadute su salari e occupazione della popolazione nativa. Altre ricerche aiutano a comprendere la nostra percezione degli immigrati. E illustrano come, in Europa, il dibattito sull’argomento verte soprattutto sugli effetti sociali, mentre, negli Stati Uniti, ci si interessa maggiormente sugli effetti economici.

IL RISCHIO OLTRE IL MARCIAPIEDE

Non è chiara la logica economica del disegno di legge Maroni-Carfagna, ma è abbastanza prevedibile quali saranno i risultati: non una riduzione della prostituzione ma un suo semplice spostamento dalla strada ai luoghi chiusi. La formulazione della norma ignora l’evidenza empirica sui rischi di questa scelta, così come emerge dall’esperienza di altri paesi. Contenere e indirizzare il mercato attraverso strumenti economici piuttosto che affrontarlo con soli strumenti penali darebbe in Italia risultati certamente migliori.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie a tutti i lettori che hanno inoltrato dei commenti, quasi tutti ottimi. Rispondo brevemente, e cumulativamente.

Innanzi tutto, vorrei chiarire che a mio giudizio la decisione della corte europea (che nella mia lettura stigmatizza la discriminazione basata sulla origine etnica) è ottima. Egualmente, non sono necessariamente a favore dei sistemi di quota proprio perché essi, come il dirigente belga, tendono a far dipendere una decisione dall’appartenenza a una categoria (nel caso della ditta belga, la categoria “europei”, e nel caso delle quote rosa la categoria “donne”).
Detto questo, è vero che c’è un limite all’analogia. Mentre gli “europei” sono una categoria “avvantaggiata”, le donne sono viste in certi ambiti come “svantaggiate”. Alcuni commenti hanno segnalato questa importante differenza. La posizione di questi lettori è certamente legittima.
Un lettore chiede se ci siano studi che valutino l’impatto di rimedi di affirmative action. Lo studio che ci va più vicino, a mia conoscenza, è il lavoro del professore di legge Richard Sanders.(1) Io interpreto i dati da lui presentati come evidenza che, almeno nell’ambito delle Law Schools americane, preferenze razziali nelle ammissioni non aiutano a selezionare “gemme nascoste”, ne’ hanno l’effetto di migliorare le performance di coloro che ne beneficiano – almeno nell’arco del periodo di studio preso in esame.
Una lettrice dice che in concorsi con prove anonime le donne ricevono voti relativamente migliori che in concorsi non anonimi. Sarei interessato ad avere questi dati, se esistono in forma sistematica. Per chi è interessato all’argomento, riferisco al classico articolo “Orchestrating Impartiality”, che mostra che, quando I concorsi per orchestrale furono fatti “ciechi” (con il candidato dietro uno schermo), le donne furono assunte più frequentemente che nei concorsi normali.(2)

(1) Si veda per esempio  “A Systemic Analysis of Affirmative  Action in American Law Schools”, disponibile al sito http://www.law.ucla.edu/sander/Systemic/final/SanderFINAL.pdf
(2) “Orchestrating Impartiality: The Impact of "Blind" Auditions on Female Musicians” di Claudia Goldin e Cecilia Rouse The American Economic Review, Vol. 90, No. 4 (Sep., 2000), pp. 715-741   

DISCRIMINAZIONE E CULTURA DEL MERITO

La Corte di Giustizia Europea definisce discriminatorio il comportamento di un’impresa belga che dichiara di non voler assumere extracomunitari. Sentenza ineccepibile sia sul piano del diritto sia su quello dell’efficienza economica. Talvolta, tuttavia, le politiche anti-discriminazione vanno in rotta di collisione con la cultura del merito. Il caso delle quote rosa.

NON PASSA LO STRANIERO

La vera cifra, anche sul piano simbolico e comunicativo, del pacchetto sicurezza è l’accanimento contro lo straniero. In un percorso verso il diritto penale del comportamento che si manifesta appieno nel nuovo reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato. Anche in un confronto superficiale con gli altri paesi d’Europa, si nota che le sanzioni per lo più previste sono pene pecuniarie e sanzioni amministrative. Diverse, dunque, da quelle detentive che il governo italiano intende adottare. E che oltretutto si riveleranno un’arma spuntata per l’impossibilità di applicarle.

RITRATTO D’ITALIA CON IMMIGRATO (*)

Il Rapporto annuale Istat certifica una forte crescita degli stranieri residenti in Italia nel 2007: sono ormai il 5,8 per cento della popolazione. Una bella fetta dell’incremento si deve all’iscrizione alle anagrafi di circa 300mila rumeni. E certo si sviluppano forme di mobilità circolare, con l’alternarsi di periodi di soggiorno nel paese d’emigrazione e in quello di immigrazione. Ma forse dovremmo chiederci se possiamo continuare ad affrontare i nostri tanti problemi strutturali facendo leva quasi esclusivamente sull’immigrazione.

UN PACCHETTO IN CERCA DI CONSENSO

Qual è la realizzabilità e la prevedibile efficacia del pacchetto sicurezza?Il primo problema concerne gli investimenti necessari per strutture, personale, trasporti. E se si vuole lottare effettivamente contro l’immigrazione irregolare, bisogna stroncare la domanda che la alimenta. Ovvero inasprire e rendere effettive le sanzioni contro i datori di lavoro, soprattutto quando si tratta di imprese. Se si tratta invece di abusivismo di necessità, come avviene per molte famiglie, occorre prevedere canali più semplici e rapidi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

BADANTE E CLANDESTINA

Le badanti irregolari superano il 40 per cento. Il governo ha annunciato una regolarizzazione ad hoc per la categoria. Ma le risposte tampone non risolvono il problema, che si ripresenterà. Come è avvenuto dopo la sanatoria del 2002. Servono invece misure strutturali. Va cancellata l’ipocrisia della chiamata a distanza. E va rivisto il sistema delle quote d’ingresso, palesemente incongruente con la domanda reale. Ma è anche necessario un aumento delle agevolazioni fiscali e la costruzione di una rete di servizi. Per collegare politiche migratorie e politiche sociali.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

LE QUESTIONI SOLLEVATE DAI COMMENTI DEI LETTORI.

Regime della tutela dei dati personali e natura dei dati tributari, rilevanza delle modalità di divulgazione rispetto alla tutela della privacy, valenza del controllo sociale come espressione di un rapporto tra i consociati fondato sulla corresponsabilità condivisa nei confronti del bene comune, in corrispondenza ad una concezione democratica e partecipata del vincolo sociale, o invece incentivazione di un deprecabile voyeurismo di massa e (peggio ancora) strumento odioso di delazione, alla stregua, come dice un lettore, di quanto praticato da “tutte le dittature per controllare ogni respiro dei propri cittadini”. Queste, per sommi capi, le questioni su cui, nella varietà degli accenti e delle posizioni, si sono principalmente soffermati i numerosi commenti seguiti alla pubblicazione del contributo Contribuenti fra trasparenza e privacy. Una vera e propria risposta richiederebbe uno spazio di cui non si dispone, si cercherà quantomeno di fornire qualche elemento ulteriore di analisi e riflessione.

REGIME DELLA TUTELA DEI DATI PERSONALI E NATURA DEI DATI TRIBUTARI.

I dati oggetto della pubblicazione effettuata dall’Agenzia delle entrate rientrano, certo, tra i dati personali, come qualunque informazione riconducibile, anche indirettamente, a una singola persona, ma, va sottolineato, non sono dati sensibili. In base al Codice della privacy, infatti, i dati personali non sono posti tutti sullo stesso piano, ma sono protetti con diversa intensità in relazione al loro diverso contenuto. La tutela è massima per le informazioni in materia di salute o di vita sessuale della persona, mentre invece è ridotta per le informazioni di natura economica. Basti ricordare che per il trattamento dei dati riguardanti l’attività economica dei soggetti (fatto salvo il segreto industriale e aziendale) non è necessario il consenso dell’interessato (art. 24, c. 1, lett. d). Da questo differenziato regime della tutela dei dati personali non si può prescindere quando si opera il confronto tra le ragioni della trasparenza, che hanno guidato il provvedimento di pubblicazione adottato dall’Agenzia delle entrate, e le ragioni della privacy, che gli sono state contrapposte: la riservatezza dei dati economici non è nel nostro ordinamento un valore assoluto, ma al contrario risulta, nello stesso Codice della privacy, di portata circoscritta, in conformità peraltro con la Costituzione repubblicana, che non include più le situazioni a contenuto economico  nell’area  dei diritti fondamentali inviolabili. La tutela della riservatezza va ponderata con gli altri valori fondamentali affermati dalla Costituzione. Nel bilanciamento tra valore della riservatezza dei dati economici, dalla Costituzione e dal Codice della privacy considerati comparativamente meno meritevoli di tutela rispetto ai diritti fondamentali, e valore della trasparenza come strumento per garantire un’opinione pubblica adeguatamente informata rispetto a interessi pubblici fondamentali quali l’adempimento del dovere d’imposta (fin dalla nascita dello Stato democratico legato a filo doppio alla titolarità dei diritti politici) e l’eguaglianza fiscale (art. 53 Cost.), non può essere che quest’ultimo il valore destinato a prevalere.

MODALITÀ DI PUBBLICAZIONE E TUTELA DELLA PRIVACY.

Il punto centrale della questione di illegittimità del provvedimento dell’Agenzia delle entrate sollevata dal Garante per la protezione dei dati personali riguarda la modalità della pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi, effettuata su internet. La legge, che risale ad anni antecedenti alla diffusione di internet, prevede la pubblicazione di tali dati nella forma del deposito degli elenchi dei contribuenti “per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i comuni interessati” (art. 69 del d.p.r. n. 600/1973). Il provvedimento del Garante ritiene prescritti dal legislatore, con tale disposizione, un limite territoriale e un limite temporale alla diffusione dei dati in oggetto. Il primo, costituito dalla delimitazione di ciascun elenco ai soli contribuenti della singola circoscrizione territoriale comunale alla quale soltanto l’elenco stesso è poi trasmesso e presso la quale soltanto è depositato. Il secondo, costituito dal limite di durata di un anno del deposito. Entrambi i limiti appaiono, evidentemente, scardinati dalla pubblicazione degli elenchi su internet, che travalica la delimitazione per circoscrizioni comunali e, consentendo a chiunque di “scaricarli” sul proprio computer, vanifica altresì il limite temporale. Il Garante lamenta che “l’Agenzia non ha previsto “filtri” nella consultazione on-line” e che ha posto in essere “una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l’attuale disciplina prevede una relativa trasparenza”. Affermare questo, però, significa non considerare che la disposizione che prevede la pubblicazione degli elenchi, ossia l’art. 69 cit., la prescrive “ai fini della consultazione da parte di chiunque”. Consentire la consultazione a chiunque significa non prevedere alcun filtro per la conoscibilità degli elenchi. La norma non richiede per la consultazione degli elenchi né il requisito della residenza nel comune corrispondente né la titolarità di alcun specifico interesse ad acquisire tale conoscenza. La previsione del “chiunque”, in altre parole, è di per sé incompatibile con il limite territoriale configurato nel provvedimento del Garante e che a suo dire sarebbe stato violato dalla pubblicazione su internet. Quanto al supposto limite temporale, in realtà l’art. 69 cit. prevede la durata di un anno del deposito non come termine massimo, per garantire il cd. diritto d’oblio dei dati, ma come garanzia della loro effettiva consultabilità, fino a che i dati di ciascun anno non siano sostituiti con quelli dell’anno successivo. Appare pertanto fondata la tesi dell’Agenzia delle entrate, che ha ritenuto andasse applicata anche a questo tipo di pubblicazione, prevista dal legislatore in una fase in cui non si era ancora avuta la diffusione di internet, la disposizione che oggi richiede allo Stato e alle altre amministrazioni pubbliche di assicurare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale (art. 2, c. 1, d.lgs. n. 82/2005, Codice dell’amministrazione digitale).
Va ribadito dunque che il ricorso alla pubblicazione su internet non è illegittimo per contrasto con l’art. 69 cit., in quanto, al contrario, consente una piena attuazione di tale norma, in cui è stato fissato dal legislatore, in termini generali, un ordine di priorità tra interesse alla trasparenza e interesse alla riservatezza, con riguardo ai dati fiscali, assegnando la prevalenza al primo, per le considerazioni di interesse pubblico già richiamate.
Sulla base di queste stesse considerazioni vanno affrontati anche gli ulteriori quesiti, emersi nel dibattito, relativi alla necessità di accompagnare la pubblicazione su internet con l’introduzione di soluzioni informatiche rivolte a consentire la tracciabilità degli accessi e impedire il trasferimento di file per evitare che siano costituite banche dati improprie e siano effettuati usi illeciti dei dati. A ben vedere: la tracciabilità degli accessi è in realtà incoerente con l’apertura della consultazione a chiunque, nel senso prima chiarito; bloccare la possibilità di “scaricare” il file è un rimedio solo apparente a fronte delle tecnologie attuali, in grado comunque di superare un tale impedimento. Va osservato peraltro che in realtà gli elenchi sono già da tempo disponibili sulla rete, attraverso gli archivi on line dei giornali che li hanno pubblicati, quantomeno in parte, anno per anno, e, ancora, va considerato che con le tecnologie attuali la stessa consultabilità degli elenchi cartacei nelle modalità testuali dell’art. 69 cit. apre potenzialmente la possibilità della loro registrazione. Quanto alla trasferibilità all’estero, la Corte di giustizia della Comunità europea ha statuito che l’inserimento di dati su internet non costituisce un trasferimento verso paesi terzi, anche se questi dati sono così resi accessibili per la consultazione da persone di paesi terzi, considerato il carattere ubiquitario delle informazioni su internet (sent. del 6 novembre 2003, Causa C-101/01). Quanto sin qui affermato non implica tuttavia che qualsiasi uso dei dati tributari così pubblicati sia da ritenere ammissibile, ma, in corrispondenza a quanto più volte sancito dalla giurisprudenza in materia di accesso ai dati, comporta invece che gli usi illeciti dei dati vadano perseguiti nel momento in cui si verifichino senza che per prevenirli si debbano soffocare le esigenze di trasparenza.

VALENZA DEL CONTROLLO SOCIALE

Il punto cruciale, in definitiva, sotteso a tutte le questioni sollevate, attiene all’alternativa tra due concezioni diverse della privacy, corrispondenti a due diversi modi di intendere il rapporto tra il singolo e la società. L’una considera la privacy come bene assoluto e indifferenziato, indipendentemente dal contenuto delle informazioni coinvolte, sicchè rivendica per quelle di natura economica le stesse garanzie che, viceversa, la legge, nella ricerca del contemperamento tra tutela della privacy e tutela di altri valori fondamentali, riserva ai soli dati “sensibili”. In tale prospettiva l’individuo è considerato in relazione esclusiva con lo Stato, avulsa da qualsiasi legame sociale. L’altra, coerentemente con l’impostazione recepita nell’impianto stesso del Codice della privacy, parte dal presupposto che la tutela della riservatezza vada ponderata con gli altri valori fondamentali affermati dalla Costituzione e, nel caso in esame, considera come esito di tale ponderazione la prevalenza da assegnare alla trasparenza dei dati fiscali. In essa ravvisa infatti uno strumento fondamentale per una corretta informazione in ambito sociale sull’adempimento da parte di ciascuno del dovere di contribuire secondo le proprie disponibilità al bilancio pubblico, quale espressione del vincolo che lega ogni soggetto agli altri componenti della comunità sociale, a fini di equità fiscale nella copertura della spesa per i servizi erogati alla comunità medesima nella sua interezza dall’intervento pubblico.

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