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Categoria: Immigrazione Pagina 35 di 42

LE TASSE DEGLI IMMIGRATI *

I contributi previdenziali relativi a lavoratori stranieri ammontano per il 2007 a quasi 7 miliardi, circa il 4 per cento del totale. Ai quali si aggiungono oltre 3 miliardi tra Irpef, Iva, imposte per il lavoro autonomo e sui fabbricati. Un apporto sempre più rilevante, dunque. Ma per una seria analisi sui costi e i benefici dell’immigrazione, servirebbe come in altri paesi europei una commissione tecnica indipendente di indagine. Con il compito di individuare metodologia e indicatori e di redigere un rapporto periodico.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

I commenti all’articolo offrono uno spaccato delle opinioni che circolano nella società. Ne emerge un quadro diviso in due: una parte esterrefatta dall’assistere ad un progressivo sgretolamento della tutela dei diritti della persona; un’altra preoccupata della propria sicurezza e della difesa della legalità.
Riconoscendomi in sintonia con la prima di queste parti, non posso che rispondere agli stimoli proposti dalla seconda. Cerco di farlo con alcune affermazioni.

1) La sicurezza è un bene prezioso e occorre vigilare perché non sia messo a repentaglio. Per capire se è messo a repentaglio, così da richiedere interventi speciali, si deve guardare freddamente a come si evolve il numero di delitti commessi nel nostro paese. I dati del Ministero dell’interno mostrano che il numero di delitti in questi anni è nettamente inferiore a quello che caratterizzava i primi anni ’90. Un’emergenza delitti, quindi, non ha fondamento nella realtà, benché sia certamente legittimo e saggio continuare a vigilare.

2) Quanto all’influenza dell’immigrazione extracomunitaria sulla commissione di delitti in Italia, i dati del Ministero dell’interno mostrano come, a dispetto di una crescita della popolazione immigrata di un fattore cinque dall’inizio degli anni ’90 ad oggi, il numero dei delitti da loro commessi si è mantenuto sostanzialmente costante. Benché sia vero che la popolazione immigrata presenta un tasso di criminalità più alto di quella autoctona, tale tasso è in diminuzione. Non stiamo quindi fronteggiando un’invasione di criminali, ma piuttosto un flusso migratorio caratterizzato da un carattere progressivamente più sano.

3) Un delitto è un delitto, e chi lo commette, una volta accertata la colpevolezza, paga. Non esiste in Italia alcuna legge che preveda una maggiore indulgenza nei confronti degli stranieri, ne’ alcuno che la invochi. A carico dello straniero, anzi, può essere adottata anche la misura aggiuntiva dell’espulsione.

4) Lo straniero gode in Italia di una quota di diritti nettamente inferiore a quella prevista per l’italiano (in particolare, in materia di assistenza sociale). Tutti gli obblighi e gli oneri imposti al cittadino italiano sono imposti anche allo straniero. Su quest’ultimo, però, ne incombono alcuni aggiuntivi: primi fra tutti, quelli connessi al permesso di soggiorno, che rendono estremamente precaria la condizione di soggiorno in Italia. Ad esempio: per un italiano, la nascita di un figlio può dar luogo a un problema economico; per lo straniero, oltre che al problema economico, può dar luogo all’impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno per mancanza di reddito o di alloggio idoneo.

5) Il fatto che l’immigrazione in Italia presenti un alto tasso di illegalità è dovuto semplicemente ad una normativa stupida (in vigore dal 1986), che impone, al datore di lavoro che voglia assumere uno straniero, di farlo quando ancora il lavoratore risiede all’estero. Nessun datore di lavoro assumerebbe alla cieca un lavoratore, italiano o straniero che sia. Così, un rispetto rigoroso della legge produrrebbe l’azzeramento dell’immigrazione per lavoro (e di quella, per motivi familiari, che da essa deriva). Dato che di lavoratori stranieri la nostra economia ha bisogno, anche in tempo di crisi, si è sviluppato un percorso illegale ma efficace: lo straniero entra per turismo; si trattiene anche dopo il termine del soggiorno autorizzato; trova occupazione grazie ad un incontro diretto con il datore di lavoro; resta in Italia in condizioni di soggiorno illegale, da cui emerge grazie a sanatorie o ad un uso "all’italiana" dei decreti di programmazione dei flussi (la domanda di autorizzazione all’ingresso viene presentata dal datore, fingendo che il lavoratore risieda ancora all’estero; ottenuta l’autorizzazione, il lavoratore torna in patria per rientrare subito dopo in Italia con un visto di ingresso per lavoro). Più del 95 per cento degli immigrati oggi legalmente soggiornanti in Italia per lavoro sono pervenuti alla condizione di soggiorno formalmente legale attraverso questi meccanismi e, quindi, a valle di un periodo di soggiorno illegale. Se ne ricava che fare la guerra all’immigrazione illegale, senza modificare le norme sull’ammissione dei lavoratori stranieri, è come far la guerra all’adolescenza: è vero che è un’età della vita problematica, ma ci devono passare tutti…

6) Salvo quanto affermato nel punto precedente, nessuno sostiene che lo Stato non possa sanzionare la condizione di soggiorno illegale. Avvalersi però della struttura sanitaria per ottenere segnalazioni sulla presenza di immigrati in tale condizione è da stupidi (sul fatto che sia da miserabili non insisto, rivolgendomi alla parte di coloro che difficilmente lo capirebbero). Significa, infatti, allontanare le persone a maggior rischio di marginalità dall’assistenza sanitaria, con conseguenze gravi, in termini di rischio di contagio, per tutta la società (oltre che devastanti per gli interessati; ma su questo, come prima, è inutile insistere).

7) L’immigrato che soggiorna illegalmente in Italia ha sì, oggi, diritto alle cure, e, se indigente, senza oneri a suo carico. Ma è fatto salvo l’onere di partecipazione alla spesa (il ticket), per il quale tale immigrato è comunque equiparato al cittadino italiano.

8) Vietare all’immigrato irregolare la registrazione della nascita del figlio, il riconoscimento del figlio naturale o il matrimonio in Italia è cosa che sanziona, oltre all’immigrato stesso, soggetti terzi, privi di qualunque responsabilità: il figlio, il partner. Gli atti in questione, poi, sono di una tale importanza che il diritto dello Stato di sanzionare l’illegalità impallidisce al confronto del rischio di ledere i diritti di questi soggetti terzi in modo irreversibile.

9) Le norme che regolano la vita della società andrebbero definite da persone che si trovino sotto il cosiddetto "velo dell’ignoranza" (Rawls): che non sappiano, cioè, se il loro posto nella società sarà quello del ricco o del povero, dell’intelligente o dello stupido, dell’uomo libero o del detenuto, del cittadino o dello straniero. Nel timore di trovarsi in una delle condizioni deboli, probabilmente, definirebbero norme capaci di difendere i soggetti più esposti alle intemperie della vita.

ORA INSICURI SONO I DIRITTI FONDAMENTALI

Il disegno di legge sulla sicurezza pubblica, nel testo approvato al Senato, contiene tre disposizioni che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei cittadini, ma mirano a fare terra bruciata attorno all’immigrato irregolare. La più famosa è quella che sopprime il divieto di segnalazione all’autorità dell’irregolare che ricorra alle prestazioni delle strutture sanitarie. Mentre le altre due norme gli precludono il perfezionamento dei provvedimenti della pubblica amministrazione e la celebrazione del matrimonio in Italia.

QUELL’INUTILE LINEA DURA SULL’IMMIGRAZIONE

Il pacchetto sicurezza approvato in Senato contiene norme sull’immigrazione dal chiaro significato: maggior controllo e maggiore severità. Al di là delle considerazioni etiche sul diritto speciale riservato agli stranieri, sono provvedimenti del tutto inefficaci. Non ci sono né le risorse, né le forze per espellere davvero gli irregolari, che in gran parte sono donne occupate nelle famiglie italiane. Dovremmo invece seguire l’esempio di altri paesi occidentali, dove gli inasprimenti legislativi sono accompagnati da misure a favore dell’integrazione.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti. La maggior parte dei commenti solleva i seguenti punti, strettamente connessi tra loro:
1- Perché il lavoro si concentra sull’andamento del tasso di criminalità complessivo anziché sulla (maggiore) propensione al crimine dei cittadini stranieri che emerge dalle statistiche sulla popolazione carceraria?
2- Come si concilia il risultato principale della nostra analisi, e cioè che l’aumento dei flussi migratori non abbia portato ad un aumento significativo del crimine in Italia, con la maggiore incidenza dei cittadini stranieri (rispetto a quelli italiani) sul totale della popolazione carceraria?

In questa risposta provo a chiarire la nostra scelta riguardo alla variabile di interesse (punto 1.) e suggerisco alcune ipotesi che possono riconciliare i nostri risultati con gli alti tassi di incarcerazione osservati tra la popolazione straniera (punto 2.).
Relativamente al primo punto, abbiamo scelto SI–>DI studiare l’effetto dell’immigrazione sul tasso di criminalità complessivo perché ci sembra quello maggiormente rilevante ai fini delle politiche sulla sicurezza, in quanto i costi sociali ed economici del crimine non dipendono dalla nazionalità di chi lo commette. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria è, in prima approssimazione, un’informazione potenzialmente utile per determinare quanta parte di tali costi è attribuibile all’immigrazione; tuttavia, può essere fuorviante se la variazione delle condanne a carico di cittadini stranieri non implica necessariamente una variazione di pari entità (o quantomeno proporzionale) dei crimini totali.
Questo è un punto cruciale, che ci porta direttamente al secondo quesito: come è possibile che gli stranieri si caratterizzino per una maggiore probabilità di finire in carcere e, allo stesso tempo, un’intensificazione dei flussi migratori non si traduca in un aumento del tasso di criminalità complessivo? A questo proposito, è doveroso ribadire che il nostro lavoro non analizza in dettaglio le cause della diversa propensione al crimine dei cittadini stranieri e italiani, quindi quelli che seguono sono solo alcuni spunti di riflessione (la maggior parte dei quali, peraltro, già suggeriti in alcuni commenti al nostro articolo).
In primo luogo, confrontare la propensione al crimine di due gruppi sulla base della loro incidenza sul totale della popolazione carceraria richiede quantomeno che, a parità di altre condizioni, la probabilità di essere incarcerati dato che si è commesso un crimine sia la stessa tra i due gruppi. Tale condizione può essere violata quando si confrontano cittadini stranieri e italiani per diverse ragioni. La più importante (ma ce ne sono altre) è che differenze reali tra i due gruppi in termini di propensione al crimine potrebbero essere notevolmente amplificate dalla discriminazione statistica nei controlli. Con tale termine ci si riferisce ad una discriminazione che non è motivata da avversione verso un determinato gruppo (in questo caso gli immigrati) ma piuttosto dal fatto che, se tale gruppo è maggiormente a rischio di commettere crimini e se i suoi appartenenti sono chiaramente riconoscibili (per esempio sulla base dei tratti somatici), è razionale ed efficiente concentrare i controlli su quel gruppo. Ne discende che differenze nei tassi di incarcerazione riflettono disporporzionatamente le effettive differenze nella propensione al crimine.
Un esempio può essere utile per chiarire questo punto. Immaginiamo che la popolazione sia composta da 50 individui di tipo A e da 50 di tipo B, e che per ogni reato commesso l’autorità di pubblica sicurezza possa indagare su un solo individuo. La reale propensione al crimine (intesa come probabilità di commettere un reato) è uguale all’1% per gli A e all’1,1% per i B. A parità di altre condizioni, dovendo scegliere se controllare un A o un B, l’autorità di pubblica sicurezza sceglierà (razionalmente ed efficientemente) di controllare sempre il B, perché ha una maggiore probabilità rispetto all’A di essere colpevole. Ne consegue che i B (qualora vengano ritenuti colpevoli) saranno gli unici ad andare in carcere; un’incidenza leggermente superiore al 50% nel numero reale di crimini commessi (1,1/2,1=52%) si è trasformata in un’incidenza del 100% sulla popolazione carceraria.
Questo esempio rappresenta ovviamente un caso limite, ma chiarisce come, in linea di principio, la significativa ricomposizione della popolazione carceraria potrebbe essere determinata da una propensione al crimine degli immigrati lievemente maggiore, ma di per sé insufficiente a muovere significativamente il tasso di criminalità. Si noti, a questo proposito, che la componente regolare dell’immigrazione rappresenta circa il 6% della popolazione residente e un’analoga percentuale degli individui denunciati. La maggiore incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria è dunque dovuta esclusivamente alla presenza irregolare, la cui incidenza sul totale della popolazione residente è ovviamente difficilmente quantificabile. Tuttavia, le stime effettuate sulla base delle domande di regolarizzazione suggeriscono un limite massimo inferiore al 30% della popolazione straniera, quindi inferiore al 3% del totale della popolazione residente in Italia; numeri senz’altro rilevanti, ma probabilmente insufficienti a muovere il tasso di criminalità aggregato, anche in presenza di un’effettiva maggior pericolosità degli immigrati irregolari rispetto al resto della popolazione.
Infine, un ulteriore elemento che, in linea di principio, può riconciliare la maggiore incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria con l’assenza di effetti significativi sul tasso di criminalità complessivo, è la relazione tra immigrazione e propensione al crimine dei cittadini italiani. Analogamente a quanto avviene talvolta in alcuni segmenti del mercato del lavoro "ufficiale", anche nel settore illegale la maggiore partecipazione (e competizione) degli immigrati può diminuire i guadagni degli altri individui (italiani), inducendoli ad abbandonare tali attività. Se questo avviene, l’attività criminale degli stranieri si sostituisce a quella degli italiani, determinando una maggiore incidenza DEGLI–>DEI primi sul totale dei crimini commessi (e quindi sul totale della popolazione carceraria) senza che ciò abbia effetti rilevanti sul tasso di criminalità aggregato.

CRIMINI E IMMIGRATI *

L’allarme sociale destato dal presunto aumento dei crimini legati all’immigrazione domina ormai il dibattito politico e sociale nel nostro paese. Tuttavia, i dati mostrano una realtà diversa. Dal 1990 al 2003 il numero di permessi di soggiorno in rapporto al totale della popolazione residente si è quintuplicato, mentre non c’è alcun aumento sistematico della criminalità, che anzi mostrerebbe una lieve flessione. Gli stessi dati sembrano inoltre escludere l’ipotesi di una relazione causale diretta tra immigrazione e criminalità.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Rispondo alle osservazioni, ringraziando chi è intervenuto.

Una parte delle critiche riguarda la condizione di sfruttamento degli immigrati (qualcuno dice "schiavismo"). Osservo che il nostro paese dispone di importanti risorse di tutela, come i contratti collettivi nazionali di lavoro, gli ispettorati del lavoro, i sindacati. Quando gli immigrati sono in regola, sono pagati come gli italiani e non fanno concorrenza a nessuno.
Il problema è fare in modo che possano lavorare in regola. Ma il governo, tra i suoi primi provvedimenti, ha indebolito gli ispettorati e reso meno incisiva la loro già non brillante azione repressiva. Avete mai sentito di un imprenditore condannato severamente per aver sfruttato degli immigrati?
Una sentenza dell’anno scorso, a Como, ha mandato assolto un imprenditore che faceva lavorare degli immigrati senza documenti. La motivazione: essendosi introdotti in modo fraudolento sul territorio dlelo Stato, non avevano diritto a chiederne la tutela. Un bell’esempio di colpevolizzazione delle vittime, e di appoggio a chi le sfrutta.
In generale, la carenza di azione repressiva sui datori di lavoro è il principale punto debole del pacchetto di misure governative di contrasto dell’immigrazione irregolare.
Per l’assistenza domiciliare, anch’io preferirei un sistema più nord-europeo di assistenza degli anziani. Ma dovremmo: 1) accettare di mandarli in strutture protette; 2) accettare di dedicare molte più risorse, pubbliche e private, al settore. Giacché non mi pare che queste condizioni siano prossime a realizzarsi, specie la seconda, dovremmo incentivare l’emersione dei rapporti sommersi nell’ambito delle famiglie. Per esempio, accettando che famiglie e lavoratrici si accordino e possano stipulare subito regolari contratti, con il versamento dei contributi. Senza la farsa dei decreti-flussi. Ricordo comunque che neppure l’attuale governo, malgrado la recessione, ha avuto il coraggio di ridurre il numero degli ingressi
autorizzati per attività di assistenza.
Per il lavoro nelle imprese, ribadisco: non sono 20.000 nuovi ingressi in meno, ma 20.000 persone in più che continueranno a lavorare in nero, forse in condizioni ancora peggiori. Sfruttati loro, e danneggiati gli italiani che lavorano in regola nelle stesse occupazioni. La soluzione non è lasciarli senza diritti, ma farli emergere. Via non andranno, l’esperienza lo dimostra. Qualcuno ricorda le misure di Zapatero, di cui non conosciamo ancora gli effetti. Secondo me, anche quella è propaganda. Negli anni ’70, all’epoca della prima crisi petrolifera, i paesi del Centro e Nord Europa tentarono di convincere gli immigrati ad andarsene con incentivi analoghi.
Fu un fallimento, anzi l’immigrazione aumentò: non potendo più circolare liberamente, gli immigrati ricongiunsero le famiglie. Gli immigrati non ritornano indietro da sconfitti, con quattro soldi in tasca. Vogliono tornare da vincitori.

Molti cordiali saluti

IMMIGRATO, CAPRO ESPIATORIO DELLA CRISI

In tempi di recessione, fermiamo i nuovi ingressi di lavoratori immigrati: è una proposta illusoria e dannosa. In primo luogo perché i decreti flussi non consentono l’arrivo di nuovi migranti, ma danno la possibilità di regolarizzare la propria posizione a chi è già in Italia e ha un lavoro. E una simile norma nulla potrebbe verso i lavoratori neo-comunitari. Quanto alle badanti, servono di continuo nuove forze per rispondere alla domanda. Si tratta però di una discussione utile alla propaganda politica perché individua un capro espiatorio delle difficoltà che si annunciano.

CHI FA OPINIONE SUGLI IMMIGRATI

Secondo un sondaggio della primavera 2007, il 73 per cento degli italiani ritiene che l’immigrazione abbia un impatto negativo sul paese. Opinioni sulle quali incidono in modo rilevante aspetti sociali e culturali, influenza degli organi di informazione compresa. Ma l’importanza della relazione tra mass media e opinione pubblica non deve offuscare il ruolo giocato da eventi reali, come l’incidenza dell’immigrazione clandestina nelle diverse aree geografiche. Un’analisi che per gli Usa riserva qualche sorpresa. Ma che da noi è impossibile, perché mancano i dati.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Mi sembra ci sia poco da aggiungere.
Ringrazio coloro che sono intervenuti civilmente, dando dimostrazione che si tratta di una questione di grande importanza per il futuro della nostra società.
Mi sembra anche che la maggior parte degli intervenuti siano d’accordo con le posizioni che ho espresso. Qualche precisazione sulle divergenze.

1) La formazione di classi in cui 25 bambini su 30 non parlano italiano è un’esagerazione. Se accadono, le concentrazioni abnormi dipendono:
1) da scelte dei responsabili scolastici;
2) dalla formazione di ghetti urbani (in Italia comunque al momento ancora rari).
La soluzione non sono le classi separate.

2) Costano anche le classi ponte; giacché l’apprendimento dell’italiano in contesti separati sarà più lento, rischiano persino di costare di più delle misure di accompagnamento che propongo, e che in parte sono già in uso. I test di italiano si possono fare, ma come strumenti per dare sostegno didattico, non per istituzionalizzare classi distinte. Penso che forse i test si dovrebbero fare anche per i bambini italiani, allo scopo di dare sostegno a chi ne ha bisogno (senza che sia necessario diagnosticare un handicap).

3) Sbagliato a mio avviso separare l’istruzione dall’integrazione sociale: la scuola deve preparare i futuri
cittadini di una società coesa, dinamica, aperta al futuro. Che non potrà che essere multietnico, al di là delle nostre personali preferenze.

4) A me non risulta che in Germania (stato federale, quindi possono esserci differenze regionali) vi siano classi di inserimento istituzionalmente separate, soprattutto oggi. Sono certo comunque che la tendenza di gran lunga prevalente nel mondo sviluppato non è quella. Anche l’apprendimento delle basi linguistiche può avvenire, e avviene meglio, con altre modalità.

5) Ho un dato nuovo che precisa quanto affermavo nell’articolo (lo devo a Meri Salati, Caritas ambrosiana): in provincia di Milano dieci anni fa c’era un insegnante-facilitatore ogni 50 alunni immigrati; oggi ce n’è uno ogni 500. Di certo le difficoltà saranno maggiori.

6) Mi pare sintonatico che le obiezioni riflettano le posizioni dei giornali filo-governativi, senza riferimento né a esperienze straniere (a parte l’ultimo caso, impreciso), né a opinioni pedagogiche qualificate. Saranno tutti in errore i governi, i responsabili scolastici e i pedagogisti che in Europa e nel mondo hanno scelto altre strade, e sarà più competente in materia l’on. Cota?

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