Vanno bene nuove norme che irrigidiscano le sanzioni per i comportamenti illeciti e chiariscano le competenze e i poteri delle autorità di vigilanza, anche per ridare fiducia ai risparmiatori e al mercato. Ma va corretta anche una peculiare debolezza italiana: il fatto che moltissimi soggetti che hanno accesso allinformazione finanziaria, che la capiscono, che hanno forte interesse economico a reagire, per qualche ragione reagiscono tardi o non reagiscono affatto. Con gravi danni per tutti.
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Si chiama così il codice di condotta della Borsa italiana. La via dellautoregolamentazione sembra infatti preferibile allimposizione per legge delle regole di corporate governance delle banche. Tanto più che secondo studi recenti sono proprio questi meccanismi a determinare il giudizio sul valore degli istituti di credito, mentre lassetto della vigilanza è del tutto irrilevante. Solo che in Italia le società che non adottano il codice non sono escluse dalla quotazione, come invece accade a Londra.
Il disegno di legge del Governo sembra prevedere per i fondi pensione una vigilanza per tipologia di intermediari. Ma è una scelta dubbia. Sempre più il fondo pensione assume la veste di organizzazione istituzionale degli interessi dei propri aderenti. E dunque ha nelle banche e nelle assicurazioni una controparte. Laffidamento della tutela della sua stabilità patrimoniale allo stesso organismo che vigila su quella degli intermediari finanziari produrrebbe un singolare conflitto di interessi.
Esiste una dicotomia tra la stabilità, ovvero la riduzione del rischio per le banche e i correntisti, e la trasparenza che dovrebbe tutelare gli investitori individuali? Le contraddizioni nella ripartizione delle competenze di vigilanza per aree di attività andrebbero superate per ricercare soluzioni che tengano conto dellinteresse generale ad avere mercati finanziari degni della fiducia degli investitori. Come è accaduto nel Regno Unito, dove le priorità e le iniziative di regolamentazione e vigilanza sono definite di volta in volta in funzione dei fattori che possono mettere a rischio il sistema.
I problemi posti dallintreccio tra istituti di credito e imprese riguardano essenzialmente la possibilità di un eccessivo trasferimento del rischio finanziario sugli investitori. Ma le misure di riforma fin qui ipotizzate non sembrano cogliere appieno lessenza del problema, mentre introducono distorsioni alle scelte del mercato. Andrebbe invece rafforzata la concorrenza nel settore del credito, migliorata la trasparenza sulle attività di finanziamento e introdotto il divieto di vendita al pubblico per un determinato periodo di tempo di titoli collocati a investitori professionali.
Unanalisi dei dati mostra che senzaltro lacquisizione di Telecom Serbia è stata un pessimo affare. Ma è un giudizio facile da dare con il senno di poi. Nel 1997, loperazione sembrava congrua con landamento del mercato delle telecomunicazioni. E non differiva in nulla dagli accordi conclusi in quel periodo da molti altri soggetti. Il contribuente italiano, poi, ci ha rimesso ben poco. Diverso naturalmente il discorso per gli azionisti di Telecom.
Il collocamento dei titoli in Italia passa attraverso due interventi: quello della Banca dItalia sullofferta di valori mobiliari, in base al Testo unico bancario. E quello della Consob sulla sollecitazione allinvestimento e la prestazione di servizi di investimento, come stabilito dal Testo unico della finanza. Il primo mira ad assicurare stabilità ed efficienza al mercato finanziario nel suo complesso. Non è perciò un giudizio sullaffidabilità della singola emissione. Il secondo cerca di evitare che i risparmiatori facciano investimenti senza la consapevolezza del rischio assunto.
Sulla base delle informazioni disponibili su Parmalat non era forse possibile immaginare una situazione così grave. Ma alcuni segnali inequivocabili sullo stato di salute dellazienda erano emersi da tempo. Sono stati ignorati o non correttamente valutati da parte dellintera comunità finanziaria internazionale. Occorre perciò rivedere alcuni processi di analisi e controllo del rischio. E riflettere maggiormente su meccanismi di funzionamento dei mercati finanziari, troppo spesso autoreferenziali.
Non mancano le norme per prevenire casi di megalomania imprenditoriale o di beneficio privato del controllo. Ma nella vicenda Parmalat, nessuna di queste è stata sufficiente. Forse perché gli organismi di controllo, come collegi sindacali, consigli di amministrazione e società di revisione, sono segnati da un conflitto di interesse che ne pregiudica lazione. Ecco quattro misure che possono limitarlo. E insieme a un inasprimento delle pene per i reati societari, possono contribuire a ridare credibilità ai bilanci delle società.
Se Consob avesse avuto accesso ai dati raccolti dalla Centrale dei rischi di Banca dItalia avrebbe potuto scoprire per tempo la gravità della situazione di Parmalat? No, perché quei dati censiscono soltanto i crediti concessi da banche italiane. Non contengono invece informazioni su quelli erogati da istituti stranieri né sui bond emessi né sui debiti commerciali. Nel caso del gruppo di Collecchio avrebbero perciò evidenziato solo una piccola parte dellindebitamento complessivo, per di più stabile negli ultimi anni.