Nel vivo della vicenda Fazio-Fiorani, gli appelli di chi chiedeva le dimissioni del Governatore hanno spesso fatto leva sulla perdita di credibilità che il nostro sistema bancario e in generale il nostro paese stavano subendo, avvertendo che i costi di tale perdita di credibilità potessero essere sensibili. Ma sono davvero così rilevanti questi costi? La risposta è inequivocabilmente sì, e due studi recenti offrono stime che consentono di valutarne la probabile entità.
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La magistratura continua a svolgere un provvidenziale, ma improprio, ruolo di supplenza ad autorità regolative e amministratori che non vigilano sul rispetto delle regole. La plausibile presenza di intrecci fra il progetto Unipol-Bnl e lo scandalo finanziario connesso alla Banca Popolare Italiana giustifica cautela nel concedere l’autorizzazione all’Opa su Bnl. Che rimane un boccone troppo grosso per Bnl. L’impresentabilità dei “finanzieri ribaldi” non deve nascondere le debolezze del “salotto buono” del capitalismo italiano.
La non contendibilità di Unipol non è una buona ragione per impedirle la scalata a Bnl, in un contesto italiano dove non esiste alcun mercato degli assetti proprietari delle imprese quotate. La questione vera è sapere se il nuovo agglomerato disporrà di un cash-flow sufficiente per pagare gli interessi passivi sui debiti contratti, se dovrà alienare asset per rimborsare il debito, se potrà remunerare adeguatamente gli azionisti di minoranza. Mentre l’autoreferenzialità del management delle grandi cooperative rischia di allentare i controlli interni ed esterni.
Fazio è stato il perfetto interprete di un’economia che privilegia il valore delle relazioni rispetto alle forze del mercato, la discrezionalità alla trasparenza delle regole, il dirigismo alla concorrenza, e che usa il pretesto della difesa dell’italianità per proteggere interessi costituiti. Il sistema bancario è stato gestito, con il consenso di molti, con le stesse logiche di molti altri segmenti del nostro sistema economico. Senza una precisa volontà politica, non basterà a mutare questo stato di cose una migliore governance della Banca d’Italia.
Dopo uno scandalo come Parmalat, è difficile presentarsi sui mercati finanziari internazionali senza una seria disciplina penale del falso in bilancio. E dunque bene ha fatto il Parlamento a rivedere il blando regime introdotto nel 2002. Ora però l’emendamento al testo di legge sul risparmio azzera la novità, salvo un inasprimento di pena nel caso di grave danno ai risparmiatori. Una scelta criticabile perché lancia il messaggio che la repressione delle frodi contabili non è una priorità in Italia. E perché accresce il costo del capitale per tutte le imprese italiane.
La vicenda della Banca popolare di Lodi dimostra come ancora una volta sia fallita l’intera catena dei controlli. Sulle omissioni o collusioni sarà compito della magistratura individuare le responsabilità, ma è importante chiedersi se gli assetti di governance della banche, e in particolare delle popolari, siano adeguati per prevenire fenomeni patologici. Senza aspettare l’intervento del legislatore, si possono adottare alcune misure che impediscano l’affermazione di nuclei dirigenti autoreferenziali e sganciati da qualsiasi verifica sul loro operato.
Per ridare credibilità al nostro sistema bancario e per renderlo affidabile agli occhi dei risparmiatori è necessario che a Fazio succeda un Governatore davvero autorevole e competente. Ma non basta. Ci vogliono nuove regole che evitino in futuro una gestione monocratica dell’istituto, impongano un termine al mandato del Governatore e attribuiscano la tutela della concorrenza bancaria all’antitrust. Riproponiamo ai nostri lettori il confronto apertosi su questi temi sul sito sperando che il Parlamento sappia rapidamente varare le nuove norme.
Il testo della Finanziaria prevede l’istituzione di un fondo per indennizzare i risparmiatori danneggiati dai crack finanziari, obbligazioni argentine comprese. Molto probabilmente finirà per risolversi in una distribuzione generalizzata delle risorse. Una scelta sbagliata perché non tiene conto di principi base fondamentali per il fisiologico funzionamento di un mercato finanziario, come l’oggettiva rischiosità di alcune operazioni. Accantonata invece la class action, lo strumento più adatto per far valere le ragioni dei risparmiatori “traditi”.
Il testo di legge sulla tutela del risparmio approvato al Senato non affronta i veri nodi del sistema finanziario italiano. Non ha un disegno efficiente delle autorità di vigilanza, in campo bancario non scalfisce una disciplina assolutamente discrezionale e nemica del mercato, non uniforma il modus operandi della Banca d’Italia al modello europeo. Il centrosinistra ha buone idee in proposito. Se vincerà le elezioni, dovrà essere capace di metterle in pratica, incidendo su problemi delicati che sul piano politico hanno costi certi e vantaggi aleatori.
La Commissione Preda è impegnata ad aggiornare il codice italiano di corporate governance. Intanto, i risultati di una recente ricerca rivelano che il codice non è solo inadeguato rispetto agli standard europei. E’ anche molto poco rispettato. Eppure, gli amministratori indipendenti sono uno dei principali strumenti per prevenire comportamenti in danno agli azionisti di minoranza, l’ostacolo principale per lo sviluppo del mercato azionario. Ma chi deve verificare quanto dichiarato dalle società quotate sulla indipendenza dei propri amministratori?