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Categoria: Unione europea Pagina 56 di 100

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Lo scopo dichiarato dell’articolo era di correggere alcune affermazioni dell’ex-capo del governo e di alcuni commentatori e cronisti sul tema dell’emissione di moneta da parte delle banche centrali.  Devo perciò una precisazione a proposito di quegli aspetti che l’articolo non è riuscito del tutto a chiarire.  Non rispondo invece ai commenti, più o meno ironici, sulle intenzioni della proposta dell’ex Presidente del Consiglio.

Chiarisco tre concetti:

1. Due lettori affermano che, a differenza della BCE, la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra possono “monetizzare” il debito pubblico acquistando titoli all’emissione, ma non è così.  ‘E bene ricordare che la Banca d’Inghilterra è vincolata dalle regole del Trattato sull’Unione Europea e quindi non fa eccezione. La Fed si attiene al principio di non acquistare titoli del Tesoro all’emissione dagli anni ‘50.  L’Italia si adeguò allo stesso principio con il cosiddetto “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, che una lettrice indica come la causa di tutti i mali. Il fatto è che, pur nelle differenze istituzionali, è caratteristica comune delle banche centrali quella di non partecipare alle aste dei titoli di stato fissando prezzi e rendimenti. I motivi sono operativi (anche quando mascherati da ragioni di “indipendenza”) e non compromettono la solvibilità dello stato sovrano. Gli stati dell’euro sovrani non sono, e per assicurarne la solvibilità la BCE potrebbe, come ho scritto qui, annunciare una fascia massima di variazione dei prezzi e dei rendimenti dei titoli di stato sul mercato secondario, senza venir meno alla proibizione sul mercato primario.

2. Quanto alla questione dell’emissione di contante da parte della Banca d’Italia: devo segnalare a un lettore che non è vero che “è solo da un anno e mezzo che le banche centrali nazionali possono emetterne quanto necessario” (non so a quale evento di un anno e mezzo fa si riferisca il lettore). Che le banche centrali immettano banconote in circolazione in una quantità non prefissata, e che dipende esclusivamente dalla domanda delle banche (per conto dei clienti) è un dato di fatto delle economie monetarie moderne, sempre che la moneta non sia garantita dall’oro o da una valuta estera (currency board).

3. Due commenti alludono infine all’irrilevanza delle banconote nella circolazione monetaria e sostengono che, se non può controllare la quantità di banconote, la BCE controlla un aggregato ben più rilevante, e cioè la massa monetaria; e che se le banche centrali nazionali non sono soggette a limiti per la stampa di banconote esse sono tuttavia soggette a limiti per quanto riguarda la base monetaria.  Entrambe le affermazioni sono inesatte.  In nessuna economia monetaria moderna la banca centrale è in grado di fissare la massa monetaria come variabile strumentale.   Quel che ogni banca centrale può fare, in quanto monopolista della moneta, è (come spiega la BCE qui) fissare unilateralmente il tasso d’interesse.

SE I DEBITI SI RIPAGANO IN DRACME

Se la Grecia uscisse dall’euro e adottasse una nuova valuta nazionale, cosa accadrebbe ai contratti? Quelli soggetti alle legge greca, si ridenominerebbero semplicemente nella dracma, al tasso di cambio fissato dal governo greco. In tutti gli altri casi, la situazione si rivelerebbe assai complicata. Per esempio, se il debitore fosse greco e il creditore straniero è facile prevedere che ne nascerebbe un contenzioso, con ricorso a un giudice o a un arbitro per decidere in quale moneta debba essere ripagato il debito. In tutta Europa, sorriderebbero solo gli avvocati delle parti.

CHI RISCHIA DI AFFONDARE NEL MARE IN TEMPESTA

Se si osserva la dinamica del tasso di cambio effettivo reale basato sui costi del lavoro per unità di prodotto, la dissoluzione dell’Eurozona appare inevitabile. Per Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, c’è stata una continua perdita di competitività dall’introduzione dell’euro. Ma a giudicare dall’andamento dei Cds, la rottura dell’unione monetaria non sarebbe un affare per nessuno. Gli investitori finirebbero per abbandonare anche la Germania. L’alternativa è una maggiore integrazione politica, con trasferimenti di risorse dalle zone floride verso quelle in difficoltà.

UNIONE BANCARIA: LONTANI DALLA META

La Commissione UE ha presentato il primo tassello dell’unione bancaria europea: nuove regole per gestire le crisi bancarie. Ogni paese dovrebbe perciò dotarsi di un fondo per la risoluzione delle crisi  pre-finanziato dalle stesse banche. In dieci anni, dovrebbe raggiungere una capacità di intervento pari all’1 per cento dei depositi garantiti. Prevista anche la collaborazione tra autorità di supervisione nazionale. È un buon inizio, ma il traguardo è ancora molto lontano. Con i tempi di decisione dell’Europa, rischiamo di arrivarci quando l’euro non ci sarà più.

PERCHÉ GLI EUROBOND NON SONO LA SOLUZIONE

Lungi dal risolvere la crisi, l’emissione di eurobond con gli attuali assetti politico-istituzionali europei comporterebbe più danni che benefici, sia dal punto di vista del rafforzamento delle democrazie europee, sia da quello strettamente economico. Darebbero il pessimo segnale di premiare governi che non seguono politiche fiscali rigorose, ponendo le basi per una spirale debitoria fuori controllo in tutta l’area. Per essere efficaci richiederebbero un cambiamento nell’architettura istituzionale europea. E dunque i tempi lunghi dell’approvazione di un Trattato.

Chi paga l’uscita della Grecia dall’Euro

Un’uscita dall’Eurozona non comporta necessariamente il default della Grecia. Il ritorno alla dracma, seppure pesantemente svalutata, farebbe crescere le esportazioni e in una decina di anni il Pil greco tornerebbe ai valori attuali, rendendo così possibile la restituzione del debito estero. Soprattutto se questo fosse ricontrattato su scadenze più lunghe e a un tasso dell’1,5 per cento. La Germania alla fine non registrerebbe alcuna perdita. Mentre i paesi più deboli dell’area subirebbero il doppio colpo dell’effetto contagio e dei più alti costi di rifinanziamento.

 

GREXIT, VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO?

La Grecia non riesce a ripagare il suo debito pubblico e, in assenza di ulteriori rifinanziamenti, si troverà nell’’incapacità di pagare stipendi e pensioni. Cresce la voglia di un ritorno alla dracma, che comporterebbe indubbiamente un recupero di competitività internazionale per i prodotti greci. Ma non risolverebbe i problemi di lungo periodo, come quello dell’’esile base produttiva e di un bilancio statale fuori controllo. E, anche nell’’immediato, i risparmi dei greci sarebbero fortemente svalutati e le banche dovrebbero probabilmente essere nazionalizzate.

 

UN CAMBIO DI ROTTA PER LA BCE

Se la Grecia dovesse abbandonare l’euro, la Bce dovrebbe essere il pilastro del meccanismo di assicurazione sui depositi necessario perché l’uscita avvenga in modo ordinato. La Banca centrale dovrebbe anche cambiare impostazione di politica monetaria. Un esplicito impegno a mantenere eccezionalmente bassi i tassi per lungo tempo avrebbe un duplice effetto: orientare al meglio le aspettative e, senza il costo di dichiararlo esplicitamente, indurre un deprezzamento dell’euro. Favorendo così il processo di aggiustamento di cui l’Europa ha disperatamente bisogno.

L’ERRORE DI AVER DIMENTICATO HUME

La crisi della zona euro mette in evidenza tutti limiti della costruzione europea. L’errore principale è stato non chiudere definitivamente le banche centrali nazionali. Permettendo così agli interessi nazionali di interferire con il normale funzionamento del sistema finanziario e del meccanismo di Hume. La sottovalutazione di questi problemi, assieme all’incapacità di istituire una Autorità bancaria europea veramente forte, ha lasciato scoperto uno squarcio nell’integrazione monetaria e finanziaria dell’Unione Europea che ci perseguiterà nei mesi e anni a venire.

Se la Grecia esce dall’euro

La crisi greca si avvicina all’epilogo. Anche se tecnicamente l’insolvenza di uno Stato non implica l’abbandono dell’euro, la Grecia potrebbe essere tentata da un ritorno alla dracma. Non tanto per i vantaggi della svalutazione, quanto per riguadagnare sovranità nella gestione della politica monetaria. Per gli altri paesi dell’area, il danno principale sarebbe la perdita di credibilità della moneta unica, con l’unione monetaria di fatto declassata a un accordo di cambio. Per l’Italia le conseguenze sarebbero gravi, in termini di tassi di interesse e di fiducia nel sistema bancario.

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