Lavoce.info

Categoria: Energia e ambiente Pagina 44 di 60

GUERRE SANTE CONTRO NEMICI SBAGLIATI

La Corte costituzionale ha accolto due dei quattro referendum contro la cosiddetta privatizzazione dell’acqua. Una eventuale abrogazione del decreto Ronchi non impedirà comunque di coinvolgere il privato nella gestione. Il secondo quesito mira a negare la legittimità del profitto nell’erogazione dei servizi. Il rischio è ostacolare ulteriormente gli investimenti necessari per il settore. Si tratta però di un’occasione per affrontare in modo finalmente serio la materia idrica. Urgenti tre riforme: finanziaria, della regolazione e dei meccanismi tariffari.

 

ALLA CANNA DEL GAS

Chiave di volta del nostro sistema energetico, il gas naturale vive da un biennio una stagione nera. La crisi economica ha colpito duramente la domanda industriale e quella delle centrali elettriche. E ora i segnali di ripresa restano incerti. Un intero parco di nuove centrali a ciclo combinato è costretto a lavorare a mezzo servizio. Lo sviluppo delle rinnovabili e la progettata rinascita nucleare sollevano nuove incognite. Tenere tutto insieme sarebbe anche un problema di politica energetica. Che però latita.

Favole e tragedie nel Golfo del Messico

Milioni di barili di petrolio si sono rovesciati nel Golfo del Messico per la rottura della piattaforma Bp. Ma come si calcolano i danni di un simile disastro? Le incertezze e i fattori che potrebbero entrare in gioco sono moltissimi. Tanto che un investitore dopo aver considerato ex-ante la probabilità di un evento catastrofico e constatata l’impossibilità di produrre una stima credibile del danno associato, potrebbe decidere di investire poco in sicurezza degli impianti per privilegiare altri obiettivi. Alterando così la struttura stessa di probabilità della catastrofe.

 

Clima: quanto è lontana Cancun da Kyoto!

Moltissimi commentatori si sono sforzati di comprendere se il bicchiere servito a Cancun dalla Conferenza sui cambiamenti climatici fosse mezzo pieno o mezzo vuoto. In realtà, l’accordo raggiunto è ricco di luci e ombre. Intanto si ricuce la lacerazione di Copenaghen. E anche se i risultati possono apparire deboli, o comunque insufficienti, bisogna cogliere gli aspetti positivi e quelli politici. Chi ha a cuore il tema deve guardare e lavorare per il meeting del 2011 in Sudafrica con ottimismo, determinazione e speranza. Non tutto è perduto. Non ancora.

 

Fino alla prossima terzigno

Non è certo impossibile gestire i rifiuti nella normalità o rinunciare alle discariche, come impone la norma Unione Europea. Per mettere a regime un sistema di gestione così fatto servono tuttavia alcuni ingredienti di base: tempo, contrasto dei molti interessi, consenso. A Napoli il tempo è stato dilapidato. Il partito dell’emergenza è più forte che mai e condiziona qualsiasi scelta. E di consenso ovviamente neanche a parlarne. Così l’ennesimo piano di emergenza risolverà la crisi di oggi, ma creerà i presupposti per quella di domani.

 

Monnezza, consenso e credibilità

In un editoriale apparso su “La Stampa” domenica 24 ottobre, Lorenzo Mondo, riferendosi alle note vicende di Terzigno, sostiene una linea condivisa da molti commentatori: le anime pie, vescovo di Nola in testa, farebbero bene a non puntellare una protesta irragionevole; l’’opposizione all’’apertura della discarica è sostanzialmente fomentata dalla criminalità organizzata.
La prima considerazione è radicata, di fatto, nella massima: “meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”.
L’’argomento di Caifa non è solo discutibile dal punto di vista morale; la sua applicazione al caso specifico è profondamente dannosa sul piano degli incentivi. Lo è perché deresponsabilizza il resto della cittadinanza. Se i miei rifiuti vanno in casa d’’altri, che incentivo ho, per dire, ad effettuare la raccolta differenziata? Che incentivo ho a limitare gli sprechi?  Un buco si troverà sempre per sgombrare il mio uscio. Tanto basta.
Per ciò che attiene alla seconda considerazione, è appena il caso di rilevare quanto sia paradossale accusare i campani di non reagire alla mortificante condizione in cui sono immersi, per poi considerarli, non appena reagiscono, come mossi da ragioni inconfessabili (ciò, ovviamente, prescinde dalla condanna agli eccessi che si sono verificati negli ultimi giorni).
Le due precedenti considerazioni spesso procedono con una terza: non si può consentire che qualsiasi intervento venga bloccato dalle comunità locali. Dall’’opposizione al termovalorizzatore di Acerra a quella verso le discariche di Chiaiano e Terzigno, le comunità locali impediscono di fatto la soluzione del problema rifiuti in Campania.
Si tratterebbe, in pratica, di una forma degenerata di sindrome nimby (not in my back yard): tutti vorrebbero una soluzione del problema, ma ognuno s’oppone alla possibilità che il problema venga risolto nel proprio cortile.
E’ davvero questo il punto? Bisogna allora usare la forza per costringere i riottosi a cooperare?

UN PROBLEMA DI REPUTAZIONE

Perché le comunità locali si oppongono a qualsiasi intervento apparentemente risolutivo dell’’emergenza?
La risposta è che nessuno, direi a ragione, si fida.
Come in qualsiasi altro caso in cui non sia immediatamente verificabile la qualità del bene fornito, ciò che conta è la reputazione del fornitore; in questo caso la reputazione delle autorità che a vario titolo sono investite della responsabilità del problema. Queste si sono dimostrate incapaci di risolvere un’emergenza che dura ormai da quasi vent’’anni. Quando, costretto dal precipitare della situazione, è intervenuto il Governo, i rifiuti sono immediatamente spariti. Ciò, tuttavia, anziché stimolare la fiducia verso le autorità competenti, l’’ha depressa.
In questi anni, a Napoli, era comune la domanda: “ma dove l’’hanno messa l’’immondizia?”. Già, dove l’’hanno messa? Il sospetto che per far fronte all’’emergenza venissero utilizzati metodi poco ortodossi di smaltimento si è fatto strada, e la reputazione delle autorità ne è risultata vieppiù compromessa.
E’ chiaro che quando la controparte gode di una cattiva reputazione, la riluttanza ad accettare uno scambio sarà notevole. Se poi lo scambio si cerca di imporlo, la reazione sarà imprevedibile.
Se lo stesso Bertolaso ha ammesso che occorrono interventi per bonificare l’’area in cui sorge la prima discarica di Terzigno, ormai stracolma; se egli stesso indica nel termovalorizzatore di Acerra una possibilità per fare fronte, temporaneamente, all’’emergenza, è lecito o meno sospettare che in nome dell’’emergenza in quella prima discarica sia stato gettato di tutto? E’ lecito o meno sospettare che non si andrà tanto per il sottile quando si tratterà di bruciare un po’’ di rifiuti nel termovalorizzatore?
E’ lecita o meno, a questo punto, la posizione di chi si preoccupa della salute propria e dei propri figli, e non vuole che il problema di tutti sia risolto spargendo veleni nel cortile della propria casa?

SE DAVID HUME È UN CATTIVO CONSIGLIERE

In un articolo di recente pubblicato su Science, Sam Bowles (1) riconsidera la nota posizione espressa da Hume, secondo cui, nello stabilire un qualsiasi sistema di governo occorre partire dall’’ipotesi che ogni uomo sia un furfante e non abbia altro interesse che l’’interesse personale. Nella visione di Bowles, muovere dalla premessa che ogni uomo sia un furfante, disegnando le regole in conformità a questa premessa, conduce ad un esito opposto rispetto a quello che si vorrebbe conseguire. Si finisce cioè per incentivare comportamenti da furfanti. Nel caso specifico, si supponga che io mi convinca dell’’inutilità di richiedere il rispetto delle regole; potrei allora essere tentato di derogare alle regole anch’’io pur di addivenire ad una soluzione del problema, utilizzando poi la forza nei confronti di chi eccepisce l’’illegittimità della mia posizione, per imporre la soluzione prescelta; non è impensabile però che ciò scateni una reazione violenta.
Nel caso della discarica di Terzigno, la strategia attuata dal Governo, pressato da un’’emergenza principalmente frutto dell’’incapacità (ad essere benevoli) degli amministratori locali, ha fatto appunto perno su: rilevanti deroghe alle regole di salvaguardia ambientale e tutela del territorio (basti a questo proposito considerare  che l’’ulteriore discarica di Terzigno era situata all’’interno del Parco nazionale del Vesuvio, patrimonio dell’’umanità secondo l’’Unesco); l’’utilizzo massiccio dell’’esercito, giustificato dagli evidenti problemi di ordine pubblico connessi con la gestione dell’’emergenza.
Vi sono motivi per ritenere che tale strategia non poteva che mostrare evidenti limiti (2). Innanzitutto perché la soluzione definitiva del problema richiede necessariamente una diffusa quanto intensa cooperazione, che non può che  fondarsi su di un diligente rispetto delle regole. Ora, può il richiamo al rispetto delle regole essere efficace se il primo a non rispettare le regole è proprio il soggetto che fa il richiamo?
Il secondo motivo che doveva indurre a dubitare dell’’efficacia della strategia governativa è connesso ai problemi di reputazione richiamati in precedenza. Il sito individuato per la nuova discarica di Terzigno era già, dal 14 novembre 2009, presidiato dall’’esercito, così come l’’area della discarica di Chiaiano o quella in cui è installato il termovalorizzatore di Acerra. Tale circostanza di fatto impedisce il controllo pubblico rispetto a ciò che viene gettato in discarica, ovvero nel termovalorizzatore, alimentando il sospetto che per gestire l’’emergenza si sia disposti a sacrificare la salute di una parte della popolazione.
Se la fiducia accordata dai cittadini alle autorità investite del problema è condizione necessaria per la soluzione del problema stesso, occorre chiedersi come esse possano conquistarla.
In primo luogo sarebbe opportuna una modifica della strategia comunicativa. Affermazioni del tipo: “risolverò il problema in dieci giorni”, sono tali da ingenerare il dubbio che per salvaguardare la propria immagine l’’esecutivo non andrà tanto per il sottile nel delineare il piano necessario a fronteggiare l’’emergenza. Sembra banale, ma ciò sta contribuendo a creare notevoli tensioni presso il sito di stoccaggio di Giugliano e presso la discarica di Chiaiano, compromettendo l’’esito della strategia di breve periodo delineata da Bertolaso.
In secondo luogo, una volta che sia stato con onestà chiarito che la soluzione del problema richiede tempo, il governo dovrebbe farsi carico di indicare una data entro la quale saranno demilitarizzate le aree deputate allo smaltimento.  L’’utilizzo dell’’esercito, e la disponibilità ad inviare altri militari all’’occorrenza, va infatti nella direzione opposta a quella che sarebbe auspicabile fosse intrapresa; occorre aprire le porte, non chiuderle; invitare la gente a rendersi conto che si è capaci di gestire impianti che comportano solo un trascurabile impatto ambientale. E’ amaro doverlo riconoscere, ma quella data dovrebbe segnare il momento in cui, finalmente, si sarà ricondotto entro le regole lo smaltimento dei rifiuti in Campania. Quanto precede dovrebbe poi concordare con un’’azione volta a convincere i cittadini che la strategia di lungo periodo delineata dalle autorità competenti non è opaca come in effetti appare. Per ragioni di spazio mi limito a considerare solo una questione (3). E’’ opinione diffusa che in presenza di un’’efficace raccolta differenziata, da tutti ritenuta necessaria,  il solo termovalorizzatore di Acerra sarebbe sufficiente per le esigenze della provincia di Napoli, non rendendosi necessario un ulteriore termovalorizzatore, c.d. di Napoli Est, per la cui costruzione sarà a giorni pubblicato un bando di gara. E’’ lecito immaginare che nessuno impegnerebbe risorse in un investimento così specifico, il termovalorizzatore di Napoli Est appunto, se fosse davvero convinto che la raccolta differenziata sarà attuata? E’’ lecito sospettare che una volta effettuato l’’investimento vi saranno pressioni atte ad evitare che il termovalorizzatore di Napoli Est sia inutile?

(1) Bowles,S., 2010. Policies Designed for Self-interested Citizens May Undermine “The Moral Sentiments”: Evidence from Economic Experiments. Science 320, 605-609.
(2)E’’ istruttivo visitare il sito del Sottosegretario di Stato per l’’emergenza rifiuti in Campania , dove, tra le altre cose, si legge: “Questo sito è aggiornato al 31 dicembre 2009, data di conclusione del mandato del Sottosegretario di Stato per l’Emergenza Rifiuti in Campania e della fine dell’emergenza.”
(3)Un’’ulteriore questione, più generale, riguarda la necessaria quanto urgente riforma dell’’assetto normativo. La legge 26/2010 ha di fatto esautorato i comuni, attribuendo a costituende società provinciali competenze esclusive circa la raccolta dei rifiuti, lo smaltimento e la tariffazione a carico degli utenti. Vi sono motivi per ritenere dubbia la bontà del disegno normativo, soprattutto perché la presenza di un’’unica società a livello provinciale non consente che vengano adeguatamente premiati i cittadini (e le amministrazioni) dei comuni più virtuosi nell’’effettuare la raccolta differenziata; la presenza di un’’unica società provinciale espone poi il sistema ad un maggior rischio di infiltrazione della criminalità organizzata.

L’emergenza continua dei rifiuti campani *

A meno di due anni dall’approvazione del piano Bertolaso che avrebbe dovuto risolvere definitivamente l’emergenza rifiuti in Campania è scoppiata una nuova crisi. Perché? Non sono state individuate soluzioni condivise sulla localizzazione degli impianti. La realizzazione dei tre inceneritori e delle dieci discariche previste è in forte ritardo. I politici locali hanno interesse a cavalcare il malcontento dei loro elettori. Ora anche il presidente del Consiglio ha sconfessato il piano originario. Prevedibile che l’emergenza rifiuti si ripresenti entro breve tempo.

 

La risposta ad Anna Gerometta

L’’appassionato commento di Anna Gerometta (del Comitato mamme antismog) merita una risposta e qualche chiarimento. Procediamo per punti.

1)     Le misure di particolato e di PM10 possono essere in larga misura sovrapposte come è stato fatto nel grafico a cura di ARPA utilizzato nel nostro articolo criticato da Gerometta. Il PM10 rappresenta infatti la quota largamente maggioritaria del particolato, intorno all’’85%. L’’evoluzione nel medio periodo della concentrazione di questo inquinante risulta quindi essere assai positiva. C’’è poi un problema che vale la pena chiarire usando l’’aritmetica. Se – come dice Gerometta –  il PM2,5 è a sua volta l’’80% del PM10 e il PM1 è il 90% del PM2,5, ne segue che il PM1 è il 72% del PM10. Se prendiamo per buoni i dati dell’’Arpa Lombardia circa il particolato totale a Milano, il PM10 trent’’anni fa era circa 150μg/m3, mentre nel 2005 era circa un terzo (ma, come vedremo, oggi è anche meno).  Ne segue che il PM1 era pari a circa 107 μg/m3 trent’’anni fa, mentre oggi arriva a 36 μg/m3. Quindi, utilizzando le proporzioni menzionate da Gerometta, anche il PM1 è significativamente diminuito, a meno che trenta anni fa queste polveri sottilissime non fossero inferiori al 24% del PM10. Ma che oggi siano il 72% del PM10 e allora fossero meno del 24% appare del tutto implausibile.

2)     Anche negli anni più recenti, contrariamente a quanto sostiene Gerometta, si registra una tendenza alla riduzione delle concentrazioni del PM10, come evidenziato nel seguente grafico (Fonte: Agenzia Mobilità Ambiente Territorio, Monitoraggio Ecopass Gennaio – Settembre 2009)

3)     Non è chiara l’’affermazione di Gerometta secondo cui la qualità dell’’aria è migliorata nel Nord Europa perché “si è investito nella riduzione delle emissioni da traffico”. E certamente non corrisponde alla realtà dei fatti se si intende dire che la qualità dell’’aria è migliorata perché si è “investito” nel trasporto pubblico. Come evidenziato in un precedente intervento, l’’evoluzione della domanda di mobilità e della ripartizione modale fra trasporto individuale e collettivo è sostanzialmente omogenea in tutta Europa. Non fanno eccezione i Paesi del Nord. Ad esempio, Svezia e Norvegia – paesi con livelli di concentrazione di PM10 tra i più bassi in Europa –  presentano una ripartizione della domanda di mobilità del tutto simile a quella italiana: più precisamente, in Svezia la domanda soddisfatta dall’’auto nel 2007 è risultata pari all’’82,6%, in Norvegia all’’87,7% (in Italia l’’81,8%). Si noti che non è una questione di diversa densità della popolazione. L’’Olanda (che ha una densità ancora più alta dell’’Italia del nord) ha una ripartizione modale analoga a quella dell’’Italia. Quanto alla ripartizione modale nelle aree urbane, la comparazione è difficile per la disomogeneità dei dati. Un’’indicazione è quella che segue: a Milano gli spostamenti “motorizzati” interni alla città avvengono per il 50,2% con mezzi pubblici (compresa la metro), percentuale che scende al 32,3% per gli spostamenti in ingresso o uscita. A Stoccolma, gli spostamenti motorizzati interni alla città avvengono per il 64% con i mezzi pubblici. Anche in questo caso la percentuale scende (al 38,7%) per gli spostamenti all’’interno dell’’intera “contea” (compresi, quindi, quelli in entrata e uscita da Stoccolma). Guarda caso, nelle maggiori città norvegesi e in alcune svedesi, a partire dagli anni ’90, è stata attuata proprio una politica basata sull’’introduzione di sistemi di pedaggio e di potenziamento della rete stradale, analoga a quella delineata nel nostro intervento, mentre i sussidi al trasporto pubblico non sono certo aumentati.
4)     Le condizioni relativamente peggiori dell’’inquinamento atmosferico nel nord Italia non sono riconducibili ad emissioni più elevate ma a condizioni atmosferiche più sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti. In particolare, per quanto concerne il PM10 ed il PM2,5, secondo i dati forniti da ARPA Lombardia, le emissioni pro-capite nella Regione sono nettamente inferiori alla media europea. Il dato sulle emissioni non va peraltro confuso col dato che in aree più dense più persone respirano l’’aria cattiva quando i livelli di concentrazione delle polveri sale oltre le soglie di allarme. Questo ha a che fare con il fatto che le concentrazioni sono un “male pubblico”, mentre il dato sulle emissioni pro-capite ha a che fare col contributo individuale medio alla produzione del suddetto male pubblico.

5)     Quanto alla qualità delle misurazioni (messa in discussione da Gerometta), non essendo esperti del campo, rimandiamo al comunicato emesso in merito alcuni mesi fa da ARPA Lombardia.
6)     Anche in materia di impatti sulla salute non siamo esperti. Ci pare utile, di nuovo, sottolineare che le conclusioni dello studio presentato all’’Accademia Francese quanto ai rischi per la salute non sono molto dissimili da quelli contenuti in un precedente intervento pubblicato su staging.lavoce.info (e che appariva molto preoccupato) e da quelli ottenuti dalla letteratura citata da Gerometta: il livello di rischio relativo attuale di contrarre un tumore al polmone è circa di 20:1 tra fumatori e non fumatori. I rischi correlati ai vari impatti sulla salute dell’inquinamento sono di 1,02-1,05:1. A ciò va aggiunto che il rischio relativo è diminuito (conseguenza necessaria, data la riduzione dell’inquinamento che abbiamo documentato) e che nelle città dove c’’è più inquinamento si vive come se non più a lungo di dove ce n’’è meno. Per esempio, nell’’Italia del nord la speranza di vita è superiore a quella norvegese (identica per gli uomini e superiore di un anno per le donne) e se si raffrontano livelli di inquinamento e speranza di vita nelle diverse province italiane non c’è alcuna correlazione diretta. Il che non ci dice che l’’inquinamento fa bene, ovviamente, ma solo che incide relativamente poco sulla speranza di vita.
7)     In ogni caso, il nostro intervento non era finalizzato a dire che il livello di inquinamento nelle città italiane è “giusto” oppure è “alto” o è “basso”. Volevamo solo mostrare come (a) l’’inquinamento urbano non sia aumentato (al contrario di quanto spesso si sente dire) e (b) non sia efficace combatterlo spendendo di più per il trasporto pubblico a parità di congestione. E quest’’ultimo punto è tanto più vero se – come dice Gerometta – il traffico è responsabile del 60% delle emissioni dei principali inquinanti atmosferici “locali”. Una politica di decongestionamento – lo ribadiamo – è più efficace nell’’abbattere gli inquinanti rispetto a un generico aumento della spesa il per trasporto pubblico. È una questione di logica, non di opinione.
8)     Infine, alla domanda su come sia possibile potenziare il trasporto pubblico di superficie, a parità di spesa, con una efficace politica di decongestionamento crediamo di aver già risposto nella replica al dott. Harari, cui rinviamo. Ci dispiace che Anna Gerometta l’’abbia ignorata.

Ma l’inquinamento a Milano non è in calo*

L’’articolo di Boitani e Ramella dà ragione ai commentatori che lamentano l’’uso disinvolto che si fa dei dati riguardanti l’’inquinamento atmosferico. Un ripasso della situazione dell’”’evoluzione negli anni “a Milano sul sito di Arpa (1)  fornisce un’’immagine d’’insieme che è meno rosea di quella in esso prospettata.
A Milano gli unici valori che hanno subito diminuzioni stabili, effettive e consistenti dagli anni ‘90 sono quelli del biossido di zolfo e benzene, grazie alla conversione degli impianti di riscaldamento a metano e alla riduzione del tasso di benzene nei carburanti. Viceversa, i citati valori del particolato del 1990 non possono essere evidentemente paragonati a quelli odierni: sino al 1998 veniva misurato il cosiddetto Particolato Totale Sospeso, ovvero l’’insieme del particolato sospeso ricomprendente la frazione del particolato più grossolana ed avente effetti meno nocivi.  Dal 1998 viene utilizzato come riferimento per il particolato unicamente il PM¹⁰ ovvero una frazione di particolato di dimensioni molto inferiori a quella del PTS. Le due misure non possono dunque essere sovrapposte.

Sta di fatto che un grafico -– sempre di ARPA Lombardia – più aggiornato di quello da voi prodotto (fermo invece al 2005) evidenzia bene come, a Milano, dagli anni 90 ad oggi non sia affatto in corso una diminuzione dei livelli del particolato. Anzi, dal 2005 pare esservi stata un’’ulteriore crescita dei livelli dello stesso.
L’’evoluzione che invece l’’articolo omette di riportare riguarda ciò che oggi è noto del particolato che respiriamo nelle aree urbane,  ovvero che esso ha dimensioni minime, ha in parte rilevante origine secondaria (ovvero deriva da reazioni chimiche degli inquinanti in atmosfera) e, diversamente da quello di origine industriale di molti anni fa, è inalabile, come un vero e proprio areosol entrando appunto in circolo nel sangue.
Nel suo studio “Collaborative Research Project for Air Pollution Reduction in Lombardy Region” 2006-2010 (lo si veda per intero sul sito www.genitoriantismog.it) il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea ha effettuato un’’estensiva opera di campionamento del particolato lombardo, sulla base dell’’analisi di più di 1000 campioni prelevati ed analizzati in Lombardia,  giungendo alla conclusione che, in area urbana, mediamente l’’80% del PM¹⁰ è costituito da PM²̇⁵, e circa il 90% del PM²̇̇⁵ è costituto da PM¹ (si veda in proposito il 7° rapporto, parte I).
Il PM¹ ,anche detto ”ultrafine,” è la frazione del particolato studiata che possiede il più elevato potenziale infiammatorio: penetra nelle cellule e negli alveoli e, superate le barriere endoteliali ed epiteliali, entra  in circolo nel sangue. Invito gli autori a leggere il recente “Inquinamento atmosferico e salute umana” su Epidemiologia e Prevenzione del novembre 2009 per una carrellata degli ormai numerosissimi studi scientifici che hanno accertato la riconducibilità di conseguenze davvero gravi, sia in termini di mortalità che di morbilità, a breve e a lungo termine, all,’esposizione agli inquinanti presenti nell’’aria.
Non è dunque vero che vi sarebbe un trend di miglioramento nelle città italiane; certamente non a Milano. Migliorano davvero le città del nord Europa dove si è investito nella riduzione delle emissioni da traffico che, come accertato in un recente Rapporto Tecnico dell’’agenzia Europea dell’’Ambiente, rappresenta la più importante fonte di inquinamento dell’’aria in Europa (“Annual European Community LRTAP Inventory EEA Technical Report 7/2008”). Lo dimostra l’’ultima mappa dell’’Europa realizzata dall’’Agenzia Europea per l’’Ambiente (Technical paper 1/2009 “Assessment of health impacts of  exposure  to PM 2.5 in Europe” ) che indica “a colori” lo stato della nostra aria e dei morti che ne discendono e che, rispetto a quella precedente realizzata sulla base dei dati nel 2000, ha decisamente “schiarito” la zona dell’’Europa del nord ma non la nostra.

Mortalità prematura (per 10 000, all’’anno) riconducibile all’’esposizione al PM2.5 (anno 2005).

Mortalità prematura (per 10 000, all’’anno) riconducibile all’’esposizione al PM2.5 (anno 2000) tratto dalla Valutazione di impatto (settembre 2005 – SEC2005 1133) redatta dalla Commissione Europea in funzione a fini della formulazione e adozione della nuova Direttiva sull’’Aria.
In conclusione, incrociando il dato – raccolto dagli scienziati della Commissione Europea – inerente la natura “ultrafine” del nostro particolato urbano, la sua prevalente origine da traffico, con la stabilità dei livelli soprattutto nelle nostre aree urbane, ci si avvede che la diagnosi degli autori sul miglioramento della situazione nelle nostre aree urbane è decisamente errata.
Aggiungo che la notizia riportata circa il presunto miglioramento dell’’aria di Milano solleva il problema della qualità delle misurazioni. L’’art. 3 della Direttiva 2008/50 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, come già faceva la precedente direttiva 96/62/CE, prescrive ai paesi membri dell’’Unione di designare organi competenti e responsabili del controllo della qualità delle misurazioni dell’’aria. Ad oggi in Italia tale sistema di controllo della qualità dei dati è carente se non addirittura assente. Ciò è stato dimostrato dai risultati delle misurazioni effettuate in Lombardia, dal 2006 in poi, dal Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea in parallelo ed in collaborazione con ARPA Lombardia: i dati raccolti dall’’organismo di ricerca europeo hanno in più occasioni evidenziato gravi sottostime delle misurazioni effettuata dall’’agenzia regionale per l’’ambiente.
Fino a quando non sarà stato messo in atto il sistema di  garanzia di “accuratezza” delle misurazioni prescritto dalla normativa europea, ogni trionfalismo su pretese vittorie o miglioramenti della nostra aria suonerà necessariamente più un giudizio con basi traballanti che altro.
Ciò detto, l’’accanimento circa un peggioramento o miglioramento dell’’aria pare davvero sterile. Come poco trasparente pare la tesi dell’’irrilevanza dei danni derivanti dall’’inquinamento allorché gli autori sono costretti, per corroborarla, a ricorrere ad uno studio datato e poco noto del “Presidente onorario dell’’Istituto Francese del Petrolio” (2).
Perché i nostri autori non hanno letto i rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dell’’Agenzia Europea dell’’Ambiente, o degli scienziati internazionalmente accreditati che da anni hanno accertato una diretta riconducibilità all’’inquinamento atmosferico  di asma, allergie, BPCO, edemi polmonari, infarti, ictus, ridotta funzionalità polmonare, morti anticipate a breve e a lungo termine laddove non addirittura, nei più recenti studi, una riduzione della capacità cognitiva dei bambini cresciuti in aree con alti livelli di inquinamento atmosferico  (Suglia, Gryparis et al. “Association of Black Carbon with Cognition among children in a Prospective Birth Cohort Study”, American Journal of Epidemiology, 15 nov. 2007)?
Che si lamenti la congestione delle aree urbane proponendo sistemi di tariffazione è più giusto anche alla luce della rilevanza dell’”’effetto congestione” sulle emissioni (3). Ma che si semplifichi l’’analisi ricavata da dati inerenti Torino e la sua metropolitana per sostenere  che il potenziamento del trasporto pubblico non sarebbe, per le aree urbane, una, e forse la principale, delle soluzioni per la riduzione dell’’inquinamento atmosferico, rappresenta non un punto di vista diverso, ma, non ce ne vogliano gli autori, davvero cattiva informazione.
Se il traffico è responsabile mediamente, per esempio a Milano, di una porzione pari ad almeno il 60 per cento (4) di ciascuno dei principali inquinanti atmosferici (Nox-Co-PM10 e O3 ) pare davvero improbabile che l’’effetto della mera decongestione conseguente all’’istituzione di tariffe di ingresso, e quello presunto dato dalla creazione di tunnel sotterranei e parcheggi, possano avere qualche effetto senza una politica seria di potenziamento dei trasporti pubblici. E, da ultimo, ci dicano gli autori, per cortesia, come andranno a lavorare quelli bloccati dall’’effetto decongestionante del pur sacrosanto road pricing?

* Anna Gerometta è Avvocato e membro del comitato direttivo dell’associazione Genitori Antismog

(1)   http://ita.arpalombardia.it/ITA/qaria/doc_EvoluzioneAnni.asp
(2)   http://www.academie-sciences.fr/publications/rapports/rapports_html/rapport12_AsC_gb.htm
(3)   (il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea ha misurato le emissioni di NOX – precursore di ozono e pm secondario – di un furgone su un circuito a Milano ed ha evidenziato emissioni di NOX più che doppie rispetto a quelle previste dal limite prescritto dal circuito di omologazione NEDC, V Rapporto p. 210 e ss.)
(4) Dati Inemar inventario Regionale Emissioni Arpa http://ita.arpalombardia.it/ITA/inemar/inemarhome.htm)

Ma l’aria è avvelenata

Cosa succede nelle nostre città, stiamo soffocando per lo smog o siamo vittima di eccessivi allarmismi? E’ la domanda alla quale cercano di rispondere Andrea Boitani e Francesco Ramella con il loro documentato intervento su staging.lavoce.info, nel quale sviluppano anche la proposta di introdurre sistemi di pagamento per la circolazione nelle aree urbane. In effetti è indiscutibile che il trend di alcuni inquinanti in Europa sia in diminuzione, anche se, come gli stessi autori precisano, questo non vale per tutti: le concentrazioni di ozono, sono, ad esempio, in costante crescita nel nostro Paese, dove raggiungono i livelli più alti di tutto il Continente. Complessivamente comunque l’’aria delle nostre città è migliorata perché si usa meno carbone, è stato tolto il piombo dalle benzine e anche il benzene è stato ridotto. L’’inquinamento urbano di oggi è inferiore a quello di trent’’anni fa ma ha anche cambiato composizione e l’’effetto nocivo dei nuovi inquinanti non è meno temibile (Composti Organici Volatili, Composti Organici Volatili Biologici, metalli, nano particelle, etc.).

TABAGISMO…

Il problema, a mio parere, va però visto anche sotto un’’angolazione diversa e per spiegarmi utilizzerò l’’esempio del fumo di sigaretta. In Italia negli ultimi anni, grazie alle campagne d’’informazione sanitaria e alla legge Sirchia, il consumo di sigarette è andato diminuendo sensibilmente, ma possiamo accontentarci? Soprattutto possiamo confrontare i dati attuali con quelli di cinquanta anni fa quando gran parte delle tossicità del tabagismo erano ancora sconosciute? I nostri genitori, quando fumavano, non sapevano tutto quello che oggi noi conosciamo sul potere nocivo del tabagismo. Lo stesso discorso vale per l’’inquinamento: gran parte degli studi effettuati sui danni causati al nostro organismo da PM 10, PM 2,5, NO2, SO2 e dagli altri inquinanti sono stati svolti negli ultimi 10 anni e hanno portato ad alcune scoperte fondamentali. E’ nota per esempio l’’azione pro-trombotica dei particolati, con l’’aumento di rischio di malattie cardiovascolari, come l’’infarto, l’ictus, le trombosi; ci sono poi rischi gestazionali, rischi per la popolazione pediatrica e per i più anziani, problematiche respiratorie.
…E INQUINAMENTO

L’’esempio del tabagismo che ho utilizzato è però un’’analogia imperfetta: chiunque di noi, informato delle possibili conseguenze, può scegliere se fumare o meno, cosa che ovviamente non può avvenire con l’’aria che respiriamo.
L’’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che 800.000 persone all’’anno in tutto il mondo muoiano prematuramente a causa dell’’inquinamento (tredicesima causa di mortalità) e che lo smog sia oggi responsabile del 3 per cento di tutti i decessi per malattie cardio-vascolari e del 5 per cento di tutti i tumori polmonari. Oltre 350.000 morti premature dovute al PM 10 si registrano ogni anno nella sola UE. Secondo lo studio APHEIS, pubblicato nel 2006 sull’’European Journal of Epidemiology, che ha interessato 23 importanti città europee (per l’Italia, Roma), su una popolazione totale di oltre 32 milioni di persone, la riduzione delle concentrazioni di PM 2,5 a livelli massimi di 15µg/m3 comporterebbe un risparmio ogni anno di 16.926 morti premature (delle quali 11.612 per cause cardio-polmonari e 1901 per tumori polmonari). Questi dati non possono essere sottovalutati, la consapevolezza dell’’importanza dell’’ambiente e della sua tutela, della pericolosità dello smog è fondamentale. Una vastissima letteratura scientifica ha ormai chiaramente documentato che non esiste un vero valore soglia di tossicità: qualsiasi livello degli inquinanti causa danni, il loro effetto è presente anche a bassi livelli e aumenta in modo direttamente proporzionale all’’aumentare delle concentrazioni degli inquinanti. Le norme inoltre sono spesso il frutto di mediazioni: non deve quindi stupire che i valori soglia adottati dalla UE per alcuni inquinanti, come i particolati, siano sensibilmente superiori a quelli suggeriti dall’’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’’inquinamento è un’’emergenza nazionale, lo confermano gli ultimi dati dell’’Agenzia Europea per l’’Ambiente con 17 città italiane nella classifica delle trenta città Europee più inquinate, e tre fra le prime quattro (Torino, Brescia e Milano), dopo la bulgara Plovdiv. I rimedi possono essere tanti, la “congestion charge”, almeno per una città come Milano, è certamente una proposta da discutere e valutare attentamente. E’ chiaro però che, oltre a misure locali e a politiche adeguate, sono indispensabili strategie ambientali che intervengano su macro-regioni per modificare l’’inaccettabile inquinamento delle città del nostro Paese.

Pagina 44 di 60

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén