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Categoria: Concorrenza e mercati Pagina 50 di 85

TRIVULZIO, PIO PER GLI AMICI

Un confronto tra i canoni d’affitto dichiarati dal Pio Albergo Trivulzio con quanto indicato dall’Agenzia del territorio per le corrispondenti zone di Milano rivela sconti superiori anche al 40 per cento. Insomma, mediamente il patrimonio immobiliare dell’ente ha reso molto meno di quanto avrebbe potuto, con un danno per le sue finalità statutarie. Tanto più che le cifre pattuite non sembrano riconducibili a una logica economica comprensibile e a una gestione coerente nel corso del tempo. Come il commissario straordinario dovrebbe affrontare la questione. E cosa chiedere agli inquilini.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti i lettori per i numerosi commenti, che mi suggeriscono per brevità di concentrarmi solo su due argomenti, per rinviare gli altri a prossimi approfondimenti.
I viaggi di istruzione sono un segmento molto importante del mercato turistico, anche se non è agevole quantificarlo. Certamente, però, i tagli agli insegnanti-accompagnatori  lo danneggeranno ulteriormente; mentre, come noto, i costi già da oggi li sostengono le famiglie. Come pure quelli delle attività extrascolastiche, peraltro essenziali, tra cui la musica e lo sport (confrontare i costi della quota di una qualunque società sportiva con il risibile sconto fiscale che se ne può ricavare!).
Eppure sono convinto che non siano attività voluttuarie, né il viaggio né la musica né lo sport. Come ha affermato il professor Roberto Vecchioni a “Che tempo che fa” il 27 febbraio 2011, la scuola e le materie di studio non sono solo nozioni o conoscenze, ma “simulazioni di vita adulta” condotte in ambito protetto: quanto di più utile all’educazione dei ragazzi.
Quanto al turismo culturale, non entro nel merito della necessità di tutelare il Patrimonio, che come noto è sancita dalla Costituzione, oltre che sembrare ovvia a quasi tutti gli Italiani.
Ma mi appassiona la valorizzazione turistica dei beni, degli eventi, della cultura materiale diffusa. Sono convinto che una delle poche fonti di ricavo sia proprio questa, a patto che la si sappia “mettere in valore” e misurare.
I turisti sono uno straordinario fruitore dei beni culturali, in quanto oltre che pagare il biglietto (quando c’è), si comportano da cittadini temporanei: mangiano, dormono, viaggiano, comprano, telefonano, ecc.
Il beneficio della corretta valorizzazione della cultura non sta solo nelle biglietterie dei siti, dei musei, dei teatri: sta nel calcolo dell’impatto dei turisti “culturali” sui territori e sull’economia nazionale.
Ma, su questo, siamo ancora straordinariamente sguarniti: nel capire, nel vedere, e soprattutto nel contare.

Ulteriori commenti, commuoventi e professionali mi fanno notare che in Italia mancano diverse cose e tutte importantissime. Mi limiterò ad elencarne tre.
Innanzi tutto manca una politica di settore, che sarebbe poi una centralità condivisa. Politica è il saper riconoscere tutti che il turismo è una attività importante, centrale, strategica, da perseguire e non solo sfruttare occasionalmente. In molte zone del Paese questa politica c’è, questa centralità è chiara e rivendicata, e i risultati si vedono. A livello nazionale le cose stanno diversamente, anche perché “per legge” non esiste una Autorità centrale preposta e riconosciuta. Così non riusciamo a fare né sistema né cultura gestionale.
La seconda grave carenza è l’orientamento al cliente, anche questo molto variegato da zona a zona, da impresa a impresa. Sembra quasi che ci si debba occupare dei clienti solo quando le cose vanno male, e gli ospiti non si fanno più vedere. Ma la soddisfazione del cliente è un comportamento strategico fondamentale, un fatto di civiltà prima ancora che una leva di marketing insostituibile proprio nel turismo, dove la  fidelizzazione ed il passaparola restano le leve di marketing largamente più efficaci.

Infine, manca nella maggior parte delle imprese un management dei prezzi e dei ricavi: è ridicolo stampare i prezzi massimi dietro la porta della camera d’albergo, quando magari poi le contrattazioni e le proposte dei portali viaggiano su livelli che sono la metà o anche un quarto del listino. Una politica di prezzi elastici orientata al cliente da un lato, e alla redditività delle imprese dall’altro, non potrebbe che favorire un migliore equilibrio del mercato, su livelli di scambi più alti, e con maggiore soddisfazione reciproca e “sociale”.      

TURISMO SENZA SORRISI

L’ottimismo manifestato da più parti sull’andamento del turismo in Italia non sembra giustificato dai dati. Nel 2010 sono calati, e molto, i giorni di vacanza e i viaggi d’affari. Tradotti in euro significano perdite significative per gli operatori. E gli italiani hanno rinunciato soprattutto alle microvacanze e ai week-end lunghi. Ovvero a quel superamento della stagionalità che rappresenta la speranza di consolidamento e crescita del settore. Manca in particolare una politica del turismo per il mercato interno.

IL TRENO MERCI SUL BINARIO MORTO

Per i treni merci italiani la crisi è cominciata da anni. Dovuta a scarsa produttività del personale, organizzazione del servizio ottocentesca, impianti obsoleti, locomotive vecchie e poco affidabili, marketing inesistente, treni lenti e spesso in ritardo. Ora si aggiungono le barriere all’ingresso di imprese diverse da quelle che fanno capo a Fs. E una serie di vessazioni per le aziende che volessero utilizzare la ferrovia per spedire la propria merce. Forse perché le aree degli scali possono essere vendute a peso d’oro. Ma è tutto il contrario di quello che accade negli altri paesi.

IL TAXI A ROMA SBANDA SULLE TARIFFE

Ecco la soluzione alla crisi dei taxi a Roma, deve aver pensato qualche genio! Come è possibile non averci pensato prima? Se la domanda cala in misura preoccupante e i taxi stanno a lungo fermi ai parcheggi, basta aumentare i prezzi. Avrebbero dovuto pensarci anche le nostre imprese esportatrici, colpite da un calo della domanda estera superiore al 30 per cento.  Ma perché mai non ci hanno pensato? Ovviamente, le poverine non hanno a disposizione la saggezza della “Commissione di congruità” nominata dal Sindaco di Roma per valutare le richieste di aumento delle tariffe dei taxi romani. A fronte di un calo della domanda unitaria pari al 30 per cento, dovuto (così si afferma) all’aumento del numero delle licenze deciso dall’allora sindaco Veltroni nel 2007, la soluzione raccomandata e tosto adottata dalla Giunta Alemanno è l’aumento della tariffa. La Commissione e la Giunta non sembrano essere state sfiorate dal pensiero che, a seguito dell’aumento delle tariffe, la domanda calerà ulteriormente e con essa anche i ricavi.
La colpa, si sa, è delle duemila nuove licenze concesse da Veltroni nel 2007. I criteri con cui quelle licenze vennero distribuite erano e restano criticabili. Ma il punto è che, grazie a quel provvedimento, c’era la possibilità che Roma da città dove i clienti cercano i taxi, si trasformasse in città dove i tassisti cercano i clienti (come diceva Franco Romani e come si pratica in quasi tutte le città del mondo)! Il fatto che questa possibilità fosse una grande opportunità per la maggioranza dei romani e dei turisti evidentemente è sfuggita alla Commissione. Il singolo tassista pensa sia meglio aspettare i clienti al parcheggio – intendiamoci: quei pochi per cui il taxi è assolutamente necessario – e farli pagare tanto. Ma è un’illusione. Il chilometraggio diminuirà ancora. Per far aumentare i ricavi bisogna cercare i clienti lungo le strade e offrire tariffe basse, soprattutto sui percorsi medio-brevi, e quindi guidare di più.
Ma la Commissione di congruità è saggia. Per definizione, anche quando suggerisce decisioni incongrue, in stridente contrasto con l’abc dell’Economia.

P.S. Per fortuna, il Tar del Lazio ha sospeso la delibera comunale. Il pronunciamento nel merito è previsto per il 23 febbraio. Sarà interessante vedere gli argomenti dei giudici amministrativi.

 

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Per prima cosa vi ringrazio per i commenti ricevuti. A tal proposito colgo l’occasione per fare alcune precisazioni, sperando che possano chiarire dubbi e rispondere alle vostre domande:

– L’articolo si è occupato esclusivamente delle attività relative a veicoli passeggeri in Europa, pertanto non si contesta la veridicità di altre pubblicazioni che fanno invece riferimento a risultati di bilancio. Cito testualmente la fonte: (Morgan Stanley – January 2011 – “ FIAT, What’s going on in Italy?”): ”European losses of up to E1bn p.a. threaten to undermine Fiat’s ambitious business plan if not addressed soon”. Questo però non esclude che l’azienda possa comunque generare utili; ad esempio lo stesso comparto, in Brasile, ha risultati che sono più che sufficienti a compensare le perdite in Europa e a generare profitto.

– La focalizzazione dell’articolo non considera la molteplicità delle attività del gruppo: non solo veicoli passeggeri, ma anche veicoli commerciali leggeri, veicoli commerciali e ricambi, per citarne alcune. Gli impianti Italiani presi in considerazione sono quindi il 25% del totale: 5 impianti, su un totale di 20 stabilimenti presenti nel nostro Paese (in gran parte controllati da Fiat). 

– Le proiezioni sulle vendite dei SUV considerano anche il prezzo dei carburanti. L’auto però non soddisfa solo il bisogno di mobilità, ma fa riferimento ad una sfera molto più ampia di desideri: un SUV quindi comunica aspetti della personalità e dello status sociale del proprietario, oltre che infondere, ad esempio, un maggiore senso di sicurezza alla guida. Il confronto tra veicoli spesso viene fatto dal consumatore sulla base di elementi non solo razionali ma anche emozionali, col prevalere spesso di questi ultimi. L’emozionalità non va intesa come assenza di logica, ma semplicemente come una diversa scala di valutazione dell’offerta. È un fenomeno che trova riscontro in diversi ambiti merceologici. Inoltre, osservando il contenuto di attuali campagne di comunicazione di alcuni prodotti della categoria, si notano riferimenti alla capacità dei veicoli di contenere le emissioni: interpreto il fatto (opinione personale) come il tentativo di smitizzare i SUV come stereotipo del veicolo inefficiente ed inquinante: la competizione si giocherà anche sulla capacità di creare veicoli di questa categoria in grado di limitare i consumi.

QUELLO CHE SAPPIAMO DI FABBRICA ITALIA

Il progetto Fabbrica Italia, con il quale Fiat intende riorganizzare la produzione per superare la crisi e aumentare la produzione nel nostro paese, divide politici, lavoratori e sindacati. Al di là della legittimità o meno delle condizioni imposte per operare gli investimenti, qual è il progetto che sottostà alle decisioni riguardanti l’uno o l’altro stabilimento? La casa torinese intende rivoluzionare la struttura produttiva in Italia, agendo impianto per impianto.

I LIBRI E LE IDEE

Nell’ultimo mese in molti su questo sito ci hanno offerto dei bei ricordi personali relativi all’azione di Tommaso Padoa-Schioppa nelle varie istituzioni in cui ha operato. Io vorrei, invece, dare una prospettiva diversa, ricordando dei contenuti dei suoi scritti che mi hanno colpito. Si tratta in particolare di tre interconnesse proposizioni su integrazione economica e politica che compaiono ripetutamente, come a formare una specie di leitmotiv, nei vari libri ed articoli pubblicati da Padoa-Schioppa (molti dei quali sono disponibili sul suo sito personale www.tommasopadoaschioppa.eu).

  • Il mercato ha bisogno di istituzioni non di mercato per il suo buon funzionamento. Come già intuito da Adam Smith, il mercato non è soltanto un insieme di comportamenti individuali (che ne sono, in effetti, il risultato), ma una realtà giuridico-istituzionale, sociale e culturale. In particolare, il mercato richiede una struttura istituzionale di tipo statuale, cioè la capacità legislativa, esecutiva e giudiziaria che permetta il concretarsi delle sue libertà fondamentali. Tra il mercato e la rule of law esiste quindi una necessaria corrispondenza.
  • Integrazione economica ed integrazione politica sono processi complementari. Quando più paesi decidono di perseguire l’obiettivo di un mercato comune (cioè di stabilire tra essi la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone), si rendono allora necessari quegli stessi istituti senza i quali l’economia non funzionerebbe neppure all’interno di un paese. In altri termini, lo sviluppo del mercato comune deve procedere in parallelo con l’instaurazione degli elementi statuali che erano in precedenza solo interni agli Stati nazionali. Ciò pone il problema della corretta struttura istituzionale di uno Stato composto da più nazioni.
  • L’integrazione politica deve essere articolata secondo i principi del federalismo. Una struttura politica basata su Stati nazionali a sovranità illimitata non può garantire il governo di un mercato comune perché è incapace di decidere e far eseguire la legislazione comune ad esso necessaria. In un sistema federale, gli Stati nazionali delegano attraverso un patto (foedus) ad un livello di governo sovranazionale (globale o regionale) le questioni di comune interesse a cui individualmente non sono in grado di provvedere. I membri della federazione rimangono competenti per tutte le aree di governo non esplicitamente incluse nel patto.

Nel ricordare queste idee vorrei solo aggiungere una breve riflessione sul perché penso che valga la pena continuare a tenerle a mente. Per quanto in astratto possano essere condivise da molti, queste tre proposizioni rientrano solo in parte nel bagaglio culturale dell’economista. Ciò si riflette sia nella pratica del funzionamento delle istituzioni internazionali che nel laboratorio dell’analisi economica. Fondo Monetario, Banca Mondiale, WTO, G-20 sono istituzioni costruite sul presupposto che i soggetti della cooperazione siano gli Stati nazionali. In questi contesti, difficilmente si accetta il principio della sovranazionalità, anche quando esso sarebbe indispensabile per dare concreta applicazione a regole comuni. Nel laboratorio dell’economia internazionale, l’unità di analisi è lo Stato nazionale, non altra. Salvo rare eccezioni (in particolare, la teoria delle aree monetrie ottimali e i principi del federalismo fiscale), l’idea che la politica economica sia prerogativa dei governi nazionali – che possono scegliere di coordinarsi o meno- è un assunto comune raramente messo in discussione.
In una lezione tenuta all’Istituto Universtario Europeo nel 2005, ricordo che Padoa-Schioppa affrontò questo punto con una efficace provocazione. Parafrasando una frase di Keynes (un po’ spocchiosa e, forse per questo, spesso amata da chi studia economia), disse che non c’è ragione per cui gli economisti debbano essere schiavi di una visione politica defunta: il dogma (Westfaliano) della sovranità illimitata degli Stati nazionali. L’economista accademico deve riflettere sui mutamenti che è necessario apportare all’assetto istituzionale esistente, ed il politico economico deve operare affinché questi mutamenti si compiano. Una bella sfida –mi pare- per chi sceglie di operare nel campo dell’economia internazionale.
Il 2010 che si è appena chiuso non è stato un anno facile per l’integrazione europea e per il progresso della governance mondiale in senso sovranazionale. La crisi economica, in parte essa stessa frutto dell’incoerenza tra la crescente interdipendenza economica e un ordine politico frammentato, ha avuto come reazione immediata il riemergere di atteggiamenti egoistici. Tuttavia, come altri hanno ricordato, Tommaso Padoa-Schioppa vedeva nella presente situazione l’opportunità per introdurre quegli elementi di riforma necessari a far muovere in avanti la storia. Forse perché sentiva –come scrisse molti anni fa Altiero Spinelli – che la forza di una idea, prima ancora che dal suo successo finale, è dimostrato dalla capacità di risorgere dalle proprie sconfitte.

COMPETITIVITÀ TEDESCA, UN GIOCO DA BAMBINI. PRODIGIO

Il post-crisi è caratterizzato da uno spostamento dei centri del potere economico verso le grandi economie emergenti e da una disperata ricerca di produttività e competitività nelle grandi economie occidentali. C’è riuscita la Germania, che pure è stata pesantemente colpita dalla crisi globale. Come? Partendo dal riconoscimento delle difficoltà e con un’azione di politica economica ispirata a una visione chiara e realistica del futuro. Per creare le condizioni istituzionali e strutturali per lo sviluppo delle attività economiche di domani.

La concorrenza, questa sconosciuta

La legge antitrust ha rappresentato un importante punto di svolta dell’economia e della regolazione italiane. Tuttavia, il nostro paese è caratterizzato da una imprenditoria diffusa e da una quota elevata di piccole e medie imprese, non sempre attente a questo tipo di norme. Ciò implica che le pratiche di cartello, probabilmente diffuse come altrove, siano messe in atto senza una piena consapevolezza del fatto che sono vietate e che comportano sanzioni elevate, se scoperte. Per questo sarebbe utile promuovere attivamente la cultura della concorrenza. Il caso Alitalia.

 

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