Italia mia, in crisi caduta come un sasso,
ti guardo el core mio colto è d angina,
nel constatar che il Pil da tempo è basso
e in depressione si va giù per la china.
Le due fazion, rose da rancor canino,
si scontrano veementi ed infuriate,
come in passato guelfo e ghibellino,
tal ch esule fu l poeta, là nel Ravennate.
La scuola è lassa, brancola il precario,
lenta la legge, incerta la sua pena,
il treno arranca per rispettar lorario,
Salerno-Reggio si fa entralalba e cena.
Lo spreco cresce e pesa in più la casta,
si dan milioni ai guitti e noi restiamo muti,
scarseggia l euro per comperar la pasta,
piena la strada di buche e di rifiuti.
Il fisco ignora i redditi opulenti,
sono accresciuti i costi sanitari
pensioni ai giovani ancor con tutti i denti,
magri i bilanci, ma bonus milionari.
Non più nemico è il teutone invasore,
bensì il burocrate, odierno feudal barone,
la mala incalza, libero va lo spacciatore
e la cultura occultasi, ormai di sé finzione.
E a tu artigiano, coi calli nelle mani,
e a voi botteghe e dIVA le partite,
che il Pil portate e lustro agli Italiani,
si rinfaccian solo evasion nfinite .
Questo di tanta speme oggi mi resta
e lo spirto guerrier chentro mi rugge,
nel vano mio pugnar sbattendo testa,
si va spegnendo e mesto fugge.
Italia mia benché l parlar sia indarno
a le piaghe mortal che nel tuo corpo veggo,
piango pel tristo fato e sul tuo viso scarno,
leggo un immenso dolore e più non reggo.
La terra trema, dei lutti mi dispero,
.no, non marrendo, ancora in te io spero!