La raccolta di firme per il referendum sulla legge elettorale si avvia alla conclusione con il serio rischio che non si arrivi al numero prescritto. Eppure, solo il pungolo della consultazione referendaria può convincere i partiti a rimetter mano a una legge dai più giudicata pessima, ma che non si riesce a modificare per il veto delle piccole formazioni. E se una riforma non fosse comunque possibile, dal successo dei quesiti referendari si otterrebbe almeno l’innalzamento della soglia di sbarramento e la cancellazione delle candidature in più collegi.
Autore: Massimo Bordignon Pagina 21 di 25
Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell'European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica.
Pur differenziata sul territorio, continua la pratica dell’accumulo dei disavanzi da parte di molte delle aziende sanitarie regionali. Disavanzi che poi vengono assorbiti dal bilancio dello Stato, con effetti negativi sulle finanze pubbliche nazionali. Accade anche per la natura incerta delle Asl, formalmente aziende, ma in realtà con ben poche delle caratteristiche delle imprese private. Per controllare la spesa, forse bisogna riformare la governance del sistema sanitario, e questa passa in primo luogo per una riforma delle Asl.
In alcuni casi, vincoli costituzionali impongono allo Stato di intervenire per salvare un governo locale in crisi finanziaria. Il rischio è che si generi un’irresponsabilità diffusa. E’ perciò necessario che gli interventi siano accompagnati da forti sanzioni per gli enti locali coinvolti, che incidano sia sugli amministratori sia sui cittadini stessi, “colpevoli” di aver eletto governanti incompetenti. E per i politici locali, la sanzione ultima non può che essere la soppressione della propria sovranità, almeno per un periodo di tempo determinato.
Ma davvero, con tutti i problemi che ha lItalia, la riforma della legge elettorale è una questione così rilevante? Se ci sono tanti partiti, non sarà semplicemente perché è la frammentazione della società italiana a richiederlo? E comunque, che centra la legge elettorale con la qualità della politica e in particolare della politica economica? Qualche dato per discuterne. E anche per orientarsi nel dibattito in corso.
Le dimissioni del governo Prodi hanno riportato in primo piano il problema della governabilità del paese. E riproposto la vera questione: il bicamerilasismo perfetto. Tuttavia, se a parole tutti vogliono trasformare il Senato in una camera regionale con compiti limitati, non sembrano esserci né le condizioni politiche né i tempi per una riforma costituzionale di questa portata. Mentre si profila una revisione della legge elettorale incapace di incidere sui difetti fondamentali del sistema. Anche perché nessuno sembra volere un ritorno al maggioritario.
La Finanziaria 2007 consente agli enti locali di incrementare le addizionali Irpef e Irap. Che interessano anche i redditi più bassi. Chi le adotta, dunque, minerebbe l’azione redistributiva decisa dal governo. Non è così. Perché l’Irpef come strumento redistributivo ha molti limiti. E perché non è solo con il prelievo che si attua la redistribuzione. Buona parte della spesa comunale ha finalità dichiaratamente sociali. Bisogna quindi considerare come i comuni utilizzano le risorse aggiuntive e le possibili alternative per reperirle.
La distribuzione dei sacrifici tra comuni
Ma come viene distribuito lonere tra comuni? Per discuterne, è necessario entrare nei dettagli. Concentriamoci per semplicità sul solo 2007 (1). Il riequilibrio per ciascun comune è la somma algebrica di due elementi. In primo luogo, si chiede ai comuni di ridurre del 50% nel 2007 il disavanzo di cassa medio registrato nel triennio 2003-2005 (2). Ciò significa che ciascun comune deve ridurre le spese o aumentare le entrate in modo tale da garantire un miglioramento nel saldo di bilancio (sia per la cassa che per la competenza) pari al 50% del disavanzo annuale medio nel periodo 2003-05. Per definizione, questa correzione non riguarda i comuni in avanzo nel periodo considerato. Il secondo elemento è invece universale, e richiede a tutti i comuni di migliorare il saldo di bilancio in misura pari al 3,4% dei pagamenti correnti effettuati in media nel periodo 2003-05. A sua volta, questa percentuale viene determinata in modo da garantire per il complesso dei comuni una riduzione pari alla metà del disavanzo di cassa registrato in media dai comuni nel 2003-05. In altri termini, la manovra si propone di eliminare del tutto il disavanzo di cassa registrato dal complesso dei comuni già nel 2007; metà di questaggiustamento è attribuito agli stessi comuni in disavanzo; laltra metà a tutti i comuni (compresi dunque sia quelli in avanzo che in disavanzo), in una misura direttamente proporzionale alla propria spesa corrente.
Le ragioni del Patto
La ragione di questo complicato meccanismo è probabilmente duplice. Da un lato si vuole evitare di pesare eccessivamente sui soli comuni in disavanzo, ma garantendo al contempo lobiettivo di uneliminazione completa dei disavanzi già nel 2007. Dallaltro, si vuole coinvolgere tutti i comuni, compresi quelli "virtuosi", nel processo di aggiustamento. E chiaro inoltre che luso alla spesa corrente come indicatore per la distribuzione (di metà) dellaggiustamento è una scelta puramente discrezionale del legislatore. Deciso lonere dellaggiustamento da attribuire alla totalità dei comuni, questo avrebbe potuto essere diviso in qualunque modo tra questultimi, per esempio, in base al pro capite o al reddito pro capite di ciascun comune (per fasce dimensionali) o a una qualunque combinazione di questi due. La scelta della spesa corrente riflette probabilmente un intento paternalistico da parte del governo; la spesa in conto capitale è meritoria e va incentivata (o per lo meno non disincentivata), quella corrente va penalizzata. Così, per esempio, due comuni con lo stesso saldo di bilancio, ma con una diversa composizione del bilancio, devono contribuire allaggiustamento in modo diverso, proporzionalmente maggiore per i comuni con una spesa corrente maggiore.
Le difficoltà del Patto
Le ragioni del governo nella costruzione del Patto di Stabilità interna sono dunque comprensibili, ma non per questo prive di controindicazioni. Non è del tutto ovvio per esempio perché si debba necessariamente privilegiare la spesa in conto capitale a fronte di quella corrente. Con la spesa corrente si finanziano molti servizi ai cittadini, mentre viceversa si possono sprecare i soldi anche investendo in opere inutili. Si sarebbe potuto individuare un indicatore più oggettivo per il riparto dellonere tra i comuni. Una giustificazione della scelta del governo può essere il voler evitare che i comuni, messi alle strette, riducano la spesa in conto capitale più che quella corrente, in genere più difficile da controllare sul piano politico.
In secondo luogo, mentre la spesa corrente è sicuramente più stabile di quella in conto capitale, anche questa varia considerevolmente per periodi, per dimensione territoriale dei comuni e per singoli comuni. La tabella 1, costruita a partire dai dati di bilancio dei comuni capoluogo per il periodo 1998-2001 illustra, per esempio, che i comuni più grandi spendono molto di più di quelli più piccoli, e che vi sono variazioni consistenti per periodi anche lunghi tra comuni. Ciò significa che il 3,4% di riduzione della spesa corrente uniforme tra comuni può generare variazioni molto consistenti in termini di onere di aggiustamento, pari a quasi il 100% nel nostro campione in termini procapite.
In terzo luogo, lindicatore suscita qualche perplessità, anche supponendo che lobiettivo sia quello di incentivare la spesa in conto capitale. Per esempio, è ben possibile che un comune, pur presentando lo stesso saldo di un altro, spenda più di questultimo sia per la spesa in conto corrente che per quella in conto capitale. In questo caso, il primo comune è sottoposto ad un aggiustamento maggiore del secondo, senza che ne sia del tutto chiara la giustificazione teorica.
Tabella 1
Spese correnti per classi di popolazione, pagamenti
(comuni capoluogo; euro pro capite)
Classi di popolazione | 1998 | 2001 | Variaz. % |
meno di 50.000 | 651 | 759 | +16,6 |
da 50.000 a 70.000 | 590 | 663 | +12,4 |
da 70.000 a 100.000 | 699 | 773 | +10,6 |
da 100.000 a 200.000 | 696 | 795 | +14,2 |
da 200.000 a 500.000 | 802 | 966 | +20,4 |
oltre 500000 | 819 | 1051 | +28,3 |
687 | 793 | +15,4 |
La sostenibilità individuale dei sacrifici
La tabella 2 suggerisce invece qualcosa sullordine di grandezza dellaggiustamento imposto in media a ciascun comune. Poiché la spesa corrente è circa il 75% della spesa complessiva di un comune, e poiché è presumibile che la spesa complessiva dei comuni tra il 2004 e il 2006 sia cresciuta almeno in misura pari al tasso di inflazione cumulato nel biennio, ciò significa che laggiustamento richiesto nel 2007 rispetto al 2006 sia in media per i comuni attorno al 2,4% della propria spesa complessiva (i.e. 0.034 per 0.70). Cioè in media, solo per la componente relativa alla spesa corrente, ciascun comune deve ridurre la propria spesa o aumentare i propri tributi nel 2007 per una percentuale pari a circa il 2,4% della spesa complessiva del 2006. Si osservi che, per costruzione, per i comuni in disavanzo, questo aggiustamento in media deve essere almeno pari al doppio di questa cifra (sarebbe esattamente uguale al doppio se tutti i comuni fossero in disavanzo, mentre in realtà molti sono in avanzo).
Tabella 2
Risparmi di spesa per classi di popolazione
(comuni capoluogo; euro pro capite; simulazione 1999-2001)
Tutti i comuni | Popolazione <50.000 | Popolazione tra 50.000 e 100.000 | Popolazione tra 100.000 e 300.000 |
Popolazione >300000 |
|
n. osservazioni | 101 | 20 | 42 | 29 | 10 |
Media | 25,3 | 24 | 23 | 26,1 | 33 |
Mediana | 24,4 | 24 | 23 | 25,8 | 34 |
Massimo | 46 | 33 | 30 | 46 | 38 |
Minimo | 11 | 16 | 11 | 18 | 21 |
Standard deviation | 5,4 | 4 | 4 | 5,5 | 5,3 |
1) Il patto di stabilità interna in realtà opera per il triennio 2007-9, ma 1) lonere principale dellaggiustamento è concentrato sul 2007 e 2)lesperienza insegna che i patti tendono a essere modificati anno su anno, per cui appare ragionevole evitare complicazioni, discutendo solo il 2007.
2) Il 2005 è lultimo anno per cui dati certi sono disponibili per la cassa; e luso della media triennale, invece del solo 2005, intende ridurre le oscillazioni annuali, dovute in particolare allevoluzione delle spese in conto capitale.
La Finanziaria chiede molto agli enti locali in termini di miglioramento dei saldi. Ma non è vero che le risorse addizionali offerte non sono sufficienti a garantire i servizi, almeno per laggregato. E vero però che per i comuni in disavanzo la correzione richiesta è robusta, superiore in media al doppio di quella complessiva per il settore pubblico. Questi problemi sono esacerbati dalla scelta della spesa corrente come criterio per la distribuzione dei sacrifici. E le sanzioni vanno modificate; così rischiano di essere controproducenti. In seconda pagina, una scheda di approfondimento.
Per il 2007 il patto per la salute siglato da esecutivo e regioni prevede un maggiore esborso dello stato in cambio dellimpegno dei governatori a stabilizzare la spesa sanitaria al 6,7 per cento del Pil e del mantenimento delle sanzioni automatiche per gli inadempienti. Ma perché la sanità è una spina nel fianco di tutti i governi? E come uscirne? Dovremmo superare i limiti di una programmazione puramente finanziaria della spesa. E definire i livelli essenziali di assistenza sulla base delle risorse disponili. Legandone la quantificazione ad analisi empiriche e best practice.
Il contributo degli enti territoriali alla manovra finanziaria può realisticamente essere solo marginale, attorno ai 2-3 miliardi di euro al massimo. Anche se non necessariamente implica un risparmio per l’erario, è una buona idea sostituire i vari vincoli sulla spesa locale con uno sul saldo. Contemporaneamente, però, andrebbe rimosso il blocco sulle addizionali regionali e comunali. Restano da risolvere le questioni di quale saldo utilizzare e se inserirvi la spesa per investimenti. Tuttavia, per il futuro serve un sistema adeguato di sanzioni e incentivi.