Le mafie oramai sono un problema di tutto il paese, non solo di una parte. In questi anni, grazie alle inchieste della magistratura e al lavoro della Commissione parlamentare antimafia, infatti, abbiamo capito un po’ meglio non solo che le mafie al Nord ci sono (in particolare la ‘ndrangheta) ma anche che sono molto aggressive e che fanno di tutto per non farsi vedere per non creare allarme sociale, favorendo così una forte sottovalutazione del fenomeno.
Gli studi mostrano una criminalità organizzata che è cambiata rispetto all’immagine che abbiamo in mente e molto diversa dagli stereotipi che spesso vengono diffusi anche dai mass media.
Le inchieste riguardanti i territori di Lombardia ed Emilia, fanno vedere che non c’è soltanto una mafia che dà l’assalto agli appalti pubblici e la criminalità è insediata al Nord non più solo per riciclare il denaro ma prevalentemente perché vuole penetrare nell’economia legale, vuole entrare nelle imprese e governarle, cercando così di condizionare il mercato. In questo, sempre più spesso, si trovano coinvolti anche il mondo dei professionisti e dei colletti bianchi, che arricchiscono le mafie intervenendo sulle fatturazioni.
La magistratura, in questi anni, ha dato colpi consistenti alle mafie al Nord ma la lotta alla mafia non può essere un compito delegato soltanto alla magistratura, alle forze dell’ordine o alla politica ma anche le imprese e il mondo delle professioni devono alzare il livello di attenzione e fornire il loro contributo su questo fronte, denunciando ogni anomalia che riscontrano.
La città di Milano, in questi anni, ha saputo distinguersi in positivo sul fronte della legalità.
Solo qualche anno fa, parlare di mafia a Milano era un elemento di contrasto con alcune istituzioni mentre da un po’ di tempo a questa parte si è smesso di dire che qui “la mafia non esiste”. A Milano e nella sua area metropolitana la mafia c’è e la stiamo affrontando.
È giusto anche sottolineare che a Milano si è costruito un modello di intervento con Expo, basato su una collaborazione inter-istituzionale, che è stato poi esportato per altre grandi opere.
Con Expo, infatti, si è creato un coordinamento tra tutte le forze dell’ordine, sono stati istituiti dei protocolli per gestire le modalità degli interventi e l’accesso ai cantieri per i controlli e, di fatto, si sono poi bloccate con una numerosa serie di interdittive i tentativi di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.
A quel modello, che ha esordito per la prima volta a Milano e che, comunque, è sicuramente ancora migliorabile, oggi tutti fanno riferimento per fare da scudo contro le infiltrazioni della criminalità organizzata e garantire la trasparenza.
Nel Comune di Milano, inoltre, si sono sperimentati una serie di meccanismi e iniziative per mettere il Comune stesso e la sua struttura al riparo da quegli episodi corruttivi che, invece, purtroppo, hanno contraddistinto la vita di altri comuni del nostro paese.
Con la Commissione parlamentare antimafia siamo stati a Milano più volte per verificare la situazione delle inchieste in corso.
Nel corso dell’ultima recente visita, tra le tante problematiche affrontate, abbiamo portato all’attenzione delle forze dell’ordine e della prefettura le preoccupazioni riguardanti alcune vicende che hanno coinvolto le amministrazioni di alcuni comuni dell’hinterland.
Da tempo, infatti, in Commissione Antimafia si è fatto un ragionamento anche sul rapporto tra mafia e politica. Sicuramente ai partiti spetta il compito di alzare la soglia dell’attenzione rispetto a certi fenomeni ma c’è anche un ragionamento che devono fare i cittadini, decidendo di porre la questione della legalità al centro, quando scelgono i propri rappresentanti.
Sulla lotta alle mafie, quindi, c’è bisogno del contributo di tutti.
Nel corso degli anni, grazie al lavoro della Commissione antimafia, grazie a chi lavora sul campo, alle associazioni che si occupano di questo tema, alcuni provvedimenti efficaci sono stati presi.
L’Italia è lo stato che ha la miglior legislazione antimafia del mondo ma purtroppo ha anche delle mafie forti.
La criminalità organizzata, nel tempo, cambia strategie, si evolve e le leggi per contrastarla vanno aggiornate di conseguenza.
Per questo, il percorso di collaborazione che si sta facendo tra la Commissione antimafia e le università italiane è molto importante e ha l’intento di costruire un lavoro comune utile a fornire gli strumenti e le competenze per saper riconoscere il fenomeno mafioso e contrastarlo.
Recentemente, l’Università degli Studi di Milano ha presentato il primo dottorato di ricerca in studi sulla criminalità organizzata. Si tratta di un’importante iniziativa, concretizzatasi anche grazie a Nando Dalla Chiesa, fortemente voluta dalla Commissione parlamentare antimafia (che ha messo a disposizione dei ricercatori la propria documentazione, acquisita nel corso degli anni) e dalla Conferenza nazionale dei rettori. È la prima iniziativa in Italia di questo genere, che si avvale della collaborazione di più istituzioni e Università e che consentirà di formare i giovani per renderli consapevoli dei fenomeni mafiosi. Essi saranno risorse di cui abbiamo bisogno per contrastare più efficacemente le mafie e, spero, per il futuro – come diceva Falcone – anche di batterle.
Sen. Franco Mirabelli, Capogruppo Pd in Commissione Parlamentare Antimafia
Il Miur e le scuole paritarie
Di Desk
il 12/01/2017
in Commenti e repliche
In merito al commento dal titolo “Scuole paritarie: la sentenza che blocca i contributi statali”, a firma di Massimo Greco, pubblicato il 5 gennaio scorso sulla testata giornalistica staging.lavoce.info, si ritiene di dover fornire alcuni chiarimenti.
La legge 296/2006 art.1, commi 635 e 636, come è noto, stabilisce che, “al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione”, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca definisce annualmente, con apposito decreto, i criteri e i parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie e, in via prioritaria, a quelle che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro.
Sulla base di tale norma, i contributi sono stati assegnati alle scuole paritarie “senza fine di lucro”, individuate sulla base di un criterio soggettivo-formale, ovvero sulla base della struttura sociale o delle disposizioni statutarie delle medesime scuole.
Come riferito nell’articolo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 292/2016, ha ricondotto i criteri di individuazione delle scuole paritarie beneficiarie dei contributi in via prioritaria ai parametri europei, ovvero riconoscendoli in favore di quelle scuole paritarie che svolgono il servizio pubblico scolastico senza scopo di lucro inteso in senso oggettivo.
Sulla base del criterio oggettivo le attività didattiche possono considerarsi effettuate con modalità non commerciali, quando la scuola paritaria svolge il servizio scolastico “a titolo gratuito o dietro versamento di un corrispettivo tale da coprire soltanto una frazione del costo effettivo del servizio”. Il parametro è quindi quello di una retta inferiore al costo medio per studente stabilito annualmente dall’Ocse e pubblicato dal Miur; criterio già previsto dal Regolamento sull’esenzione dell’imposta comunale degli immobili degli enti non commerciali (DM 200/2012).
Le scuole paritarie, pertanto, stabilendo rette inferiori al costo medio per alunno, svolgono un servizio pubblico che giustifica l’erogazione dei contributi da parte dello Stato.
Infine, la sentenza n. 296/2016 è stata attuata dal Miur, essendo stato peraltro rigettato il ricorso presentato dall’Aninsei avverso il decreto adottato dal Ministro pro tempore, relativo ai contributi per l’anno scolastico 2015-2016. Il Consiglio di Stato, con sentenza n.5259/2016 del 17 novembre 2016, ha dichiarato inammissibile il predetto ricorso, accogliendo le tesi difensive dell’Amministrazione e della Fism intervenuta nel giudizio, ponendo fine al predetto contenzioso.
I contributi alle scuole paritarie, pertanto, non sono “bloccati”, ma in corso di assegnazione.
Si deve evidenziare, inoltre, che i medesimi contributi, annualmente assegnati, pari a circa 500 milioni di euro, consentono un risparmio di spesa per lo Stato pari a 6 miliardi, considerato che il costo medio per studente di scuola statale è di 6.800 euro circa e quello per studente di scuola paritaria è di 500 euro l’anno.
Tali erogazioni consentono di fornire un servizio pubblico, in considerazione dei costi che lo Stato dovrebbe sostenere e che non potrebbe garantire se non attraverso le 13 mila scuole paritarie.
Gabriele Toccafondi, Sottosegretario, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
La replica dell’autore
Pur condividendo le motivazioni di opportunità politica e finanziaria che animano la scelta ministeriale, la questione rimane aperta in punto di diritto. Soprattutto per la rinnovata esigenza di conformare il nuovo “parametro di misurazione” – adottato dal MIUR col DM n. 367/2016 per definire l’attività didattica esercitata con modalità non commerciali delle Scuole paritarie per l’anno 2015/2016 – alla giurisprudenza europea in materia di aiuti pubblici. E nulla innova l’ultimo pronunciamento del Consiglio di Stato.
Massimo Greco